giovedì 22 dicembre 2016

"Qualche suola di pelle d'agnello..." - Le cartoline dei nostri soldati al "Laboratorio Camperio"


"Oggi ho ricevuto il suo pacco che mi ha spedito e sono stato molto contento. [...]
Saluti, soldato Colombo Antonio."
Cartolina spedita da Antonio Colombo, soldato del 23° Reggimento Artiglieria da Campagna, I Sezione, Acqui, 22 dicembre del 1916.
Il periodo natalizio è forse il più indicato per raccontare questa piccola ma preziosa storia di cento anni fa: una storia di generosità, gelo invernale, pacchi dono e gratitudine.
Qualche anno fa, chi scrive recuperò un piccolo lotto di cartoline, di tipologia eterogenea (cartoline postali delle Regie Poste, cartoline militari in franchigia, cartoline illustrate...), accomunate da due aspetti: l'essere, tutte, direttamente o indirettamente indirizzate ad un certo "Laboratorio Camperio"; e il fatto di riguardare la spedizione di indumenti di lana a nostri soldati al fronte.
A cento anni esatti di distanza da una di queste cartoline, vi proponiamo questa piccola ricerca.
Lavori di cucito mentre gli uomini di casa si trovano al fronte. Cartolina illustrata (tratta da www.storiatifernate.it)
Prima di lasciare spazio a queste, ci pare, commoventi cartoline, è necessario spendere qualche parola sulla destinataria di esse, Maria Camperio.
Costei, in realtà, si chiamava Marie Josephine Siegfried Blech, ed era nata nel 1841 a Mulhouse, nell’Alsazia francese, da una famiglia di facoltosi imprenditori tessili. Di “natura dolce ma decisa, umanitaria, ma dotata di un carattere forte e autonomo” [1], Marie Siegfried, allo scoppio della Guerra Franco-Prussiana del 1870, aderì alla Croce Rossa prestando servizio come infermiera volontaria nell’assistenza ai feriti di guerra. L’anno successivo, poco prima della formale annessione dell’Alsazia alla Germania, si sposò a Mulhouse con un altro personaggio eccezionale, Manfredo Camperio.

Questi, di importante famiglia milanese – imparentato, per parte materna, anche con i fratelli Giacomo e Filippo Ciani, patrioti italo-ticinesi -, dopo aver partecipato al Risorgimento prima nelle vesti di cospiratore – subendo anche la carcerazione e deportazione in Austria - e poi  di combattente nelle Guerre d’Indipendenza, si era dedicato all’esplorazione: intrapresi numerosi viaggi in Asia e in Africa, aveva poi fondato il periodico “L’esploratore” e, soprattutto, la Società di Esplorazione Commerciale in Africa, per coniugare i progetti di espansione coloniale italiani con quelli di sviluppo commerciale e industriale [2].
La coppia ebbe quattro figli: oltre a Fanny e Giulio, deceduti in gioventù, Filippo detto Pippo (1873-1945) ufficiale di carriera della Regia Marina, e Sita (1877-1967). Quest’ultima, apprezzata violinista, sulle orme della madre si impegnò nella Croce Rossa quale infermiera volontaria, vera “pioniera delle crocerossine italiane poiché […] fu promotrice del movimento e partecipò in prima persona alla fondazione e diffusione delle scuole professionali CRI d’insegnamento infermieristico”[3]. Nel 1899, poco prima della morte del padre, sposò a Milano Luigi Alberto Meyer (1859-1928), rampollo di una famiglia di industriali svizzeri del settore serico.  

I sentimenti pacifisti e umanitari di Maria Camperio, uniti al forte patriottismo dei figli Filippo e Sita, a ciò educati dal padre Manfredo, trovarono modo di esprimersi variamente di fronte alla Grande Guerra. Filippo Camperio, dopo aver ricoperto altri incarichi in Marina, durante la guerra fu peraltro posto al comando della Piazza Marittima di Grado. La figlia Sita Meyer Camperio, a sua volta, avrebbe prestato servizio – con incarichi sempre più importanti – presso il Corpo Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana, per tutta la durata del conflitto (e poi ancora, al termine di esso, nei tragici mesi della pandemia di febbre spagnola). Ma anche la madre, Marie Camperio, pur anziana, trovò il modo di tener fede ai suoi ideali caritatevoli: fece dunque pubblicare, sul Corriere della Sera, un annuncio nel quale si invitavano le lettrici a partecipare a un'iniziativa benefica in favore di quanti si trovavano al fronte.

Lavori di cucito per i soldati al fronte. Cartolina di comitato "Pro Lana pei Soldati" (coll. d.A.).

Per coniugare le esigenze dei nostri soldati con le possibilità organizzative del pubblico femminile, le signore Camperio pensarono dunque di contribuire direttamente al vestiario dei combattenti, con quanto di più necessario per affrontare i rigori invernali: ovvero, gli indumenti di lana. Non si trattava, invero, di un'idea nuova, ed erano già attive - o lo sarebbero state nel corso del conflitto -, in Italia ed anche in Lombardia, altre iniziative consimili.

Intestazione del Fondo "Lana per i Militari alle Armi" costituito presso il Comitato Lombardo "Pro Esercito".

Ad ogni modo, grazie allo slancio generoso di queste gentili signore, nacque così il "Laboratorio Camperio", che si andava dunque ad affiancare alla rete di comitati e iniziative attive a Milano a beneficio dei soldati al fronte.
A svelare il funzionamento concreto dell'iniziativa contribuisce la cartolina che segue, indirizzata a Marie Camperio:

  •  da Ezilde Carletti, insegnante, da Scheggia (PG), 15/08/1915
"Egregia Signora, 
le ho spedito stamani due berretti per cui Ella, all'atto della mia iscrizione a socia del suo Laboratorio, mi dette la lana. Non ho potuto finire il secondo berretto per mancanza di lana. Data la distanza che separa il mio paese da Milano, non è conveniente per ora continuare l'associazione: vuol dire che, tornando costì, in ottobre, sarò orgogliosa di essere ammessa fra le socie del Suo Laboratorio. Per ora ho pensato ad organizzare qui del lavoro per i soldati. Tornando a ringraziarla per le squisite gentilezze usatemi spedendo roba per il mio fidanzato e a mio zio. 
La ossequio,
Ezilde Carletti, insegnante".
A quanto si può dedurre, le generose signore interessate ricevevano direttamente dal Laboratorio la materia prima - la lana, evidentemente procurata dalle Camperio avvalendosi dei contatti famigliari presso le industrie tessili milanesi - che poi provvedevano a lavorare direttamente a casa propria. I "prodotti finiti" - berretti, calze e quant'altro - erano poi riconsegnati al Laboratorio, che provvedeva a recapitarli ai destinatari.  

Si noti, in proposito, che la sede del Laboratorio - corrispondente al numero 62 di Corso Venezia, a Milano - coincideva con l'indirizzo di abitazione dei coniugi Camperio-Meyer. Ciò parrebbe confermare che la produzione vera e propria, per l'appunto, fosse completamente esternalizzata - si direbbe oggi - direttamente presso le abitazioni delle singole volontarie. Cosa che, invece, non sempre avveniva, come rivela la fotografia che segue (tratta dal sito www.storiatifernate.it) e che mostra uno dei tanti laboratori per la confezione di indumenti di lana sorti in Italia (in questo caso, quello di Città di Castello):

Immagine del Laboratorio per la confezione di indumenti di lana di Città di Castello (tratta da www.storiatifernate.it).


La cartolina di Ezilde Carletti è interessante anche per altri motivi. In primo luogo, la data di spedizione (agosto del 1915) dimostra che l'iniziativa fu concepita, dalle sue promotrici, sin dalle primissime settimane di guerra; in secondo luogo, provvedendo alla confezione di indumenti di uso prettamente invernale, sembra che le Camperio, e le loro gentili collaboratrici, avessero già compreso che la guerra non si sarebbe conclusa entro l'estate del 1915. In ultimo, la stessa identità della mittente non è priva d'interesse: Ezilde Carletti, maestra elementare, di ferventi sentimenti religiosi e attivista nelle organizzazioni cattoliche, era stata allieva di Clemente Rebora - a quel tempo ufficiale di complemento richiamato, poeta e poi, dopo la conversione religiosa, padre rosminiano - e sarebbe stata a questi vicina negli anni successivi alla conclusione del conflitto.

Ma come avveniva la selezione dei destinatari dei preziosi manufatti del Laboratorio? E' da ritenere che le promotrici - dati anche i loro legami personali con gli ambienti delle istituzioni benefiche milanesi - fossero, a tal scopo, in contatto diretto con organismi quali la Croce Rossa Italiana o i numerosissimi Comitati d'Assistenza fioriti sin dai primi tempi di guerra. Tuttavia, era anche possibile, da parte dei soldati infreddoliti, candidarsi direttamente:

  • Da Francesco Aragnino, soldato del 14° Reparto Auto[mobilisti], 60^ Sezione M..., XII Corpo d'Armata, Zona di Guerra, 15/02/1916
"Ill.mo Signor, 
avendo letto un articolo nel giornale corriere della sera, prega il sottoscritto trovandomi in zona di guerra con la stagione molto rigida, a volermi considerare come quell'altri per tali indumenti. Riceva i più distinti [saluti] insieme [al]la società che tanto ci pensa per noi al fronte.
Suo devotissimo
Aragnino Francesco"
Accanto a richieste, per così dire, generiche - come quella del soldato Aragnino - il Laboratorio ne riceveva altre, ben più circostanziate. Ecco cosa scriveva, con una bella prosa fiorita, il caporale Gugliotta, in quegli stessi giorni:
  • da Francesco Gugliotta, caporale della Sezione di Sanità della 24^ Divisione, Zona Carnia, 1° Reparto Carreggiato, 16 febbraio 1916
"Spettabile Ditta Laboratorio Camperio, 
Signor Direttore, le sarei grato se potesse fornirmi di indumenti di lana con qualche suola di pelle d'agnello. I soldati d'Italia profitteranno, ammirati, del filantropico sentimento che anima il resto di quelli che non trovansi al fronte e specie fra i freddi cuspidi culminanti della gelida Carnia.
Con profonda osservanza ed anticipati ringraziamenti,
dev. caporale Francesco Gugliotta"
Alla spigliata esplicitezza del caporale Gugliotta, fa da contraltare la discrezione, forse imbarazzata, del soldato Angelo Papa, in questa cartolina alquanto sibillina:
  • Da Angelo Papa, soldato dell'81° Reggimento Fanteria, 4^ Compagnia, Zona di Guerra, 29/04/1916
"Alla Vostra Signoria, 
vorrà scusare se mi permetto ad inviarle questa mia, sapendo la loro gentile cortesia.
Con ossequio, mi firmo
Angelo Papa."
Eppure, il soldato Papa aveva ben motivo di desiderare qualche presidio contro il freddo, quando si consideri che l'81° Reggimento Fanteria della Brigata "Torino", in quel periodo, si trovava schierato sul fronte Dolomitico, nel settore Settsass - Monte Sief, in posizioni poste mediamente intorno ai duemila metri di quota.
Ancora, si può notare come non fosse solo la truppa a beneficiare delle provvidenze del Laboratorio, ma anche gli ufficiali (pur se allievi, come nel seguente caso):

  • da Carlo Nava, Allievo Ufficiale, 37^ Divisione, Zona di Guerra, 19 agosto 1916
"Al sig. Enrico Meyer, Via Monte di Pietà n. 4.
Egregio Sig. Meyer, coll'animo commosso, ringrazio vivamente la S.V. e la Signora Meyer Camperio, tutte le dame milanesi, gentili collaboratrici dell'opera buona e santa che è il Laboratorio Camperio, per il pacco di indumenti che oggi ò ricevuto da cotesto comitato.
Inneggiando al Re e alla Patria, mi dico suo aff.mo 
Nava Carlo".

Tuttavia, gli ufficiali si potevano anche fare interpreti dei bisogni dei loro uomini, chiedendo - forse, anche in questo caso, per discrezione - l'intervento del Laboratorio per mezzo di conoscenze comuni:

  • da Palmira Zaccaria, Ponte San Pietro (BG), 5 ottobre 1916.
"Cara Signora,
 vengo a domandarle se fosse possibile che il suo Laboratorio mandasse un po' d'indumenti di lana al tenente Ernesto Donatelli, 7° Gruppo Alpini, 68^ Compagnia, Battaglione Cadore, V° Gruppo Alpini, amico di mio fratello, che gli scrive esservi già un metro di neve nella posizione in cui si trova al fronte e che i suoi soldati ne avrebbero bisogno. L'ha pregato appunto di raccomandarlo a qualche Laboratorio. Io non so se la mia domanda le parrà troppo indiscreta e se le sarà possibile accoglierla. In tal caso me lo faccia sapere che io cercherò di provvedere altrimenti.
Ringraziandola se mai anticipatamente e con tanti buoni saluti, mi creda
 sempre dev.[otissim]a,
Palmira Zaccaria."

Un alpino nella tormenta, testimonial della campagna "Date lana ai soldati". Cartolina illustrata (coll. d. A.).


Una richiesta indiretta è anche quella che perviene al Laboratorio da parte del soldato Aristide Carminati, tramite la madre di questi:
  • da Aristide Carminati, Zona di Guerra, 09/02/1917
"Cara mamma, ti scrivo queste due righe [per] darti le mie notizia. Mi trovo di buone salute e così spero di te e tua signora. Qui siamo in mezzo ai montagne ma l'arlia [sic] buona mi fa venire una fame terribile ma fa gran freddo. Desidero volentiere un paia di calze per i piede lunghe che rivano ai giniocchi.
O crsito [sic, scritto] al fratello Augusto [ma] non mi a ancora riposto. Fami sapere qualche cosa di lui.
Cara madre se può farli premura per le mie carte per recarmi a Milano a fare il soldato come lo sia [sic, sai] anche tu .
Ti saluto e un bacio da tuo
Aristide".

La spedizione dei pacchi, per l'appunto, avveniva mediante il servizio postale militare. Il traffico di corrispondenza, durante tutto il periodo di guerra, fu veramente imponente, e si possono comprendere i disguidi che spesso dovevano capitare in fase di consegna. La cartolina che segue è, a tal proposito, emblematica:

  • da Angelo Giacobbo, caporalmaggiore, Reparto Protezione Ferrovie, Solagna (VI), Zona di Guerra, 07/02/1917
"Alle gentili e buone signore del Laboratorio M. Camperio.  
Il giorno 3 del corrente mese ho ricevuto la pregiata sua lettera in data 30.1.17 dalla quale noi tutti abbiamo appreso con gioja che ci erano stati indirizzati i preziosi pacchi: siamo però ancora in atesa. E forse tarderanno ancora, dato la grande quantità che afluisce in Zona di Guerra. Apena sarà giunti a nostra distinazione, non mancheremo noi tutti di fare il nostro dovere verso le benefiche signore.
Devotamente,
C.M. Angelo Giacobbo".
Tuttavia, considerando le date, pare di desumersi che fosse trascorsa poco più di una settimana tra la spedizione da parte del Laboratorio e la cartolina del caporale Giacobbo. Il fatto che questi si lamentasse, velatamente, per il ritardo, dà conto della rapidità che, ordinariamente, doveva caratterizzare le consegne, non solo di lettere e cartoline, ma anche dei pacchi al fronte. Considerazione di qualche pregio, quando si consideri che oggi (anno 2016) per ricevere una lettera raccomandata i tempi di attesa siano all'incirca analoghi a quelli lamentati dal caporale...

Ad ogni modo, una volta ricevuti i pacchi di indumenti dal Laboratorio, i destinatari non mancavano di ringraziare:
  • da Giuseppe Ferrando, soldato, Zona di Guerra, 17/02/1917
"Inviando i più distinti saluti e ringraziamenti dal roba in vernale che a avuti ringraziando a parte anche chi la fatta [...].
Soldato Ferrando Giuseppe"

  • da Carlo Carenzi, soldato del 15° Reggimento (?), 77° Battaglione, 9^ Compagnia, Abbiategrasso, 06/1917
"Gentilissima Signorina
Beategrasso 6-1917
La ringrazio infinitamente del bel regalo ricevuto da Lei, camicia e mutande che mi serveranno molto e mi vanno benissimo.
Con saluti e di nuovo ringraziandola,
mi chiamo Carlo Carenzi".

Ed ecco, infine, la cartolina già riportata in apertura di questo articoletto, e che qui riproponiamo per intero, a cent'anni esatti di distanza da quando fu spedita:

  • da Antonio Colombo, soldato del 23° Reggimento Artiglieria da Campagna, I Sezione, Acqui, 22/12/1916
"Oggi ho ricevuto il suo pacco che mi ha spedito e sono stato molto contento. Mi ringrazia il Signor Bozzati [?]. Io le ho già scritto i miei ringraziamenti.
Saluti, soldato Colombo Antonio."

In chiusura, una cartolina illustrata, sempre emessa da un comitato pro lana pei soldati, con una breve e commovente poesia in tema con questo articolo, e con la quale lo chiudiamo:


LA LANA
Così la buona nonna si conforta
e lavora e lavora e non ha sosta.
Tutta la lana che tenea riposta
aduna e sceglie con la mano accorta.
Spesso la bacia, e mormora pianino
"Te fortunata, che gli andrai vicino!".

Con l'augurio di un Felice Natale e Buone Feste a tutti i nostri lettori.



A cura di Niccolò F.


NOTE
[1] La storia del nursing..., cit., p. 163.
[2] Voce Camperio, Manfredo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 17, Treccani, 1974.
[3] La storia del nursing…, cit., p. 165.


BIBLIOGRAFIA
- le fotografie indicate sono tratte dal bel sito "Storia Tifernate" a cura di Alvaro Tacchini(http://www.storiatifernate.it);
- La storia del nursing in Italia e nel contesto internazionale, AA. VV., Gennaro Rocco, Costantino Cipolla, Alessandro Stievano.
Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918, Roma - Libreria dello Stato.

domenica 27 novembre 2016

Lino Cattaneo, un ufficiale lariano della Brigata "Palermo" (27 novembre 1915)

In questo piccolo spazio del web diamo, spesso, conto di vicende umane ricostruite, a ritroso, a partire da una fotografia, una cartolina, un documento. In tanti anni di collezionismo e ricerche correlate, assai raramente capita invece il caso opposto: di ritrovare, cioè - magari su un banco di un mercatino - un nome, un simbolo, e, soprattutto, un'immagine a noi già  conosciuta. A chi scrive è capitato in relazione al personaggio che vi presentiamo di seguito: ed è stata una bella emozione.

Una domenica di qualche anno fa, scartabellando in una cassetta di vecchi documenti, il mio sguardo ha incrociato quello di un volto che, pur distante cent'anni da me, riconoscevo. Era il viso del sottotenente Lino Cattaneo. Come me, comasco, studente del "Volta" (lo storico liceo classico cittadino), e poi studente di giurisprudenza. Vi racconteremo la sua storia.
***

Lino Cattaneo nasce a Como il 25 novembre del 1893, ultimo dei numerosi figli di Felice Cattaneo e Rachele Huth, in una bella casa di Via Porta, accanto al Teatro Sociale.

La bella casa della famiglia Cattaneo, a Como, in Via Porta.

Cattaneo, di buona famiglia borghese, frequenta dapprima il Collegio "Gallio" e poi, dopo il ginnasio, il Regio Liceo "Alessandro Volta". Conseguito il diploma, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Pavia, e vi si trasferisce per gli studi.

Lino Cattaneo (a sinistra, in borghese) con la famiglia.

In tal modo - oppure perché assegnato alla terza categoria - è temporaneamente dispensato dalla chiamata alle armi della sua classe di leva, che avviene nel 1913. Compiuto il primo anno di corso [1], tra la fine del 1914 e la primavera del 1915, è tuttavia chiamato alle armi.

Svolge poi il corso accelerato da allievo ufficiale presso l'Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, che termina. nel corso dell'estate, ottenendo i gradi da sottotenente. Assegnato all'arma di Fanteria, è infine destinato - insieme a moltissimi comaschi - al 67° Reggimento Fanteria della Brigata "Palermo", che è di stanza nel capoluogo lariano sin dal 1908. In tale reparto sono inquadrati, in tale momento, anche altri personaggi interessanti incontrati su questo blog, tra i quali l'allora capitano Elio Ferrari (per la cui vicenda rimandiamo al nostro articolo leggibile qui).

Nel mese di marzo del 1915, il 67°, in previsione dell'inizio delle ostilità, è inviato nella zona a cavallo tra la Valtellina e la Valle Camonica: tale trasferimento va inscritto nel quadro della manovra di radunata del III Corpo d'Armata, avente lo scopo di avvicinare una prima aliquota di truppe al confine con l'Impero Austro-Ungarico, nel proprio tratto di fronte di competenza. In tali posizioni, il 67° si trova alla data del 24 maggio.

Lino Cattaneo in uniforme da sottotenente del 67° Regg. della Brigata "Palermo".

Dopo l'inizio delle ostilità, il reggimento - riunito al gemello 68°, col quale formava appunto la Brigata "Palermo" - si trasferisce, in giugno, nel settore dell'Alta Valle Camonica, dislocandosi fra Ponte di Legno e il Passo del Tonale, inquadrato nella Prima Armata. La Brigata "Palermo" trascorre l'estate in tale settore del fronte, prendendo parte a varie operazioni offensive: tra queste, in particolare, l'attacco sferrato il 25 agosto sulla Sella del Tonale, nel quale trova la morte il capitano Ettore Scagliola (al quale abbiamo il nostro articolo leggibile qui).
All'inizio di ottobre, il reggimento passa dunque a riposo, per poi essere destinato alla fronte carsica. Nelle settimane successive, la Brigata "Palermo" inizia le operazioni di trasferimento che la portano a radunarsi alle falde del Monte San Michele, passando alle dipendenze della Terza Armata (29^ Divisione dell'XI Corpo d'Armata).

Il reggimento, dunque, attraversa l'Isonzo nei pressi di Sagrado, portandosi a Sdraussina - ai piedi del San Michele - e completando il movimento entro il 21 novembre. Nel frattempo, dal 10 novembre, sono in corso le operazioni offensive che complessivamente costituiranno la Quarta Battaglia dell'Isonzo.

Quattro giorni dopo, giunge l'ora fatale anche per il I e il III Battaglione del 67° [3]: essi, in concorso con altri reparti, hanno come obiettivo le linee austriache poste sulle propaggini sud-occidentali del Monte San Michele. Il 24 novembre, dunque, i due battaglioni del 67° si lanciano all'assalto del tratto di fronte che corre tra l'abitato di Peteano, Boschini, e la Quota 124.

  
Il sottotenente Cattaneo si trova al comando del suo plotone, inquadrato nella 1^ compagnia del I Battaglione del 67° Reggimento. Al termine del combattimento, il III Battaglione ha conquistato la Quota 124, mentre il I Battaglione si è impadronito del trincerone di Peteano.
Il prezzo, in termine di perdite, è però altissimo: nel corso dell'azione, cadono infatti numerosi ufficiali, e decine di uomini di truppa. Tra i primi, si possono ricordare entrambi i comandanti di battaglione: il maggiore Alberto Barbero (del I Btg.) e il capitano conte Enrico d'Oncieu de Chaffardon (del III Btg.).

Rielaborazione grafica ottenuta mediante la sovrapposizione dell'immagine satellitare ai rilievi d'epoca (prendendo come riferimento la linea ferroviaria). Evidenziati: in giallo le posizioni di Boschini; in rosso, l'abitato di Peteano.

Anche il sottotenente Lino Cattaneo, nel corso di un contrattacco notturno e mentre si trova al comando della propria compagnia perchè caduto il comandante, rimane ferito gravemente all'addome e a un braccio da una fucilata [3]. Egli è così trasportato a Romans d'Isonzo, ove è ricoverato presso l'Ospedale da Campo n°76.
Qui, dopo tre giorni di agonia, spira, il 27 novembre 1915, alle ore 15.55, all'età di ventidue anni. Secondo la stampa comasca:
"Egli è morto cristianamente e da forte com'era vissuto, assistito fino all'ultimo dal cappellano militare, che dovette ora compiere il mesto ufficio e pio di comunicarne la notizia alla famiglia, già provata per altri recenti lutti."[4]
Le sue spoglie sono inumate nel cimitero comunale di Romans. Il suo nominativo non figura tra quelli dei caduti "noti" traslati presso il Sacrario di Redipuglia: ci ripromettiamo di verificare se i resti dello sfortunato ufficiale furono, dopo la guerra, traslate a Como, o se debbano invece ritenersi conservate tra quelle degli "ignoti" di tale sacrario.

La tomba del s.ten. Cattaneo, nel cimitero di Romans d'Isonzo.

Nel 1923, nell'atrio d'ingresso del suo vecchio Liceo "Volta", viene inaugurato il monumento dedicato agli studenti caduti. Il nome di Cattaneo è il terzo dall'alto.


[1] Così in L'Ordine - quotidiano cattolico della diocesi di Como, 7 dicembre 1915.
[2] Il solo II Battaglione, invece, è già operativo in zona sin dalla settimana precedente, aggregato al 113° Reggimento della Brigata "Mantova".
[3]  Così in Annuario per l'anno scolastico 1922-1923..., op. cit. In merito alla circostanza della morte del comandante la compagnia, si rileva qui che, alla data del 25 novembre, risultano caduti - oltre al già citato cap. Enrico d'Oncieu de Chaffardon - i soli capitani Argeo Binda, da Milano, della 9^ compagnia (III Btg.) e Giorgio Turati, da Piacenza, della 10^ (III Btg.).
[4] L'Ordine, ivi.


N. B.
La storia del sottotenente Cattaneo era già stata oggetto di un post su un forum di collezionismo militare, ad opera del medesimo autore di questo articolo.

A cura di Niccolò F.


 BIBLIOGRAFIA
- Annuario per l'Anno 1922-1923 del Regio Liceo Ginnasio "Alessandro Volta", Como, Longatti, 1924.
- Pier Amedeo Baldrati, Il 67º Fanteria - Cento anni di Storia, Como, Tipografia A. Noseda, 1962.
- Emmanuele Sottile, Il 67° Fanteria 1862-1920, Como, Tipografia R. Longatti, 1923.
- AA. VV., L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. III, Roma, Libreria dello Stato.
- Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918 , Roma - Libreria dello Stato.

lunedì 24 ottobre 2016

Diario anonimo da Caporetto - Ritirata del 25 Ottobre 1917

In tutti gli articoli di questo Blog abbiamo sempre raccontato la storia di uomini in armi partendo da un piccolo spunto quale una cartolina od una medaglia, e questo ci ha sempre permesso di raccontare la vita e i trascorsi militari di uomini con un nome ed un cognome.

In questo caso la cosa non sarà possibile perchè lo scritto che segue è giunto a noi in forma totalmente anonima e dal testo si riesce solo a desumere che fosse un telefonista appartenente al 2° Corpo d'Armata e che, all'inizio dell'offensiva, si trovava sul margine dell'altopiano della Bainsizza.
Il non poter dare un nome a questo soldato ignoto è un peccato, in quanto può essere l'unica testimonianza giunta a noi della vita di questo soldato, però può anche essere considerata come la voce di quei migliaia di soldati che in quei tristi giorni della fine di ottobre del '17 si trovarono in mezzo ad un evento storico che ebbe un impatto sull'intero fronte e che, nonostante una situazione sempre più incerta, non si dettero per vinti ma continuarono a marciare in mezzo al fango ed alla pioggia.

Nota iniziale: il memoriale è composto da una 20ina di pagine scritte fronte/retro in matita copiativa. Il testo è stato trascritto integralmente conservando eventuali errori grammaticali.

Ritirata del 25 Ottobre 1917 
Altopiano Bainsizza 

La prima pagina del manoscritto

20 - Generale Cappello com.te 2° Armata va a riposo per malattia. Montuosi (com.te 2° C.A.) assume interinalmente com.do 2° Armata. Albricci comando 2° C.A. 

21 – Le voci che prima circolavano riguardo all’offensiva austriaca vanno prendendo consistenza. Da comunicazioni telefoniche date ad ufficiali superiori (frase illeggibile) intercettare e che si attende per questa notte l’attacco. Abbiamo ricevuto l’ordine di tagliare le linee in caso di ripiegamento 

22 – 23 – Gli austriaci sparano con più frequenza su q. 800, su Bate, Ravne, Ielenik. La maggior parte delle batterie piazzate sul Bainsizza vengono ritirate. 

24 – Comincia il vero bombardamento. Sulla nostra sinistra (verso Tolmino) è un rombo continuo, un frastuono infernale. Anche la conca di Ravne – Bate – Sveto è tenuta sotto intenso fuoco, e i nodi stradali sono battuti violentemente. Nelle prime ore del mattino si è assistito ad un brillante combattimento aereo avvenuto sul cielo di Bainsizza. Un nostro caccia abbatte in pochi minuti due aeroplani nemici, uno tedesco che va a cadere nella conca di Gargaro, l’altro austriaco cade incendiandosi sulle nostre linee dell’Osso di Morto. La giornata corre lunga e piena di ansie, notizie contraddittorie si succedono con insistenza; io sono di servizio al centralino dalle 6 di sera alla mezzanotte e dalle innumerevoli comunicazioni che do agli ufficiali desumo che siamo in ballo e qual ballo. Stante il grande lavoro mi è quasi impossibile ascoltare gli ordini e i contr’ordini che telefonicamente vengono dati; qualche mezza frase, null’altro. Finalmente viene mezzanotte, e mentre m’accingo ad andare nella mia tana per riposare giunge il tenente che mi da ordine di svegliare i guardafili e dir loro che si tengano pronti ad ogni evento. 

L'altopiano della Bainsizza - Tratta dall'Enciclopedia Militare
25 – La notte è trascorsa senza inconvenienti. Al mattino il cannoneggiamento aumenta ancora. Alcune batterie di piccolo calibro della 10° divisione piazzate sul cucuzzolo dello Ielenik sparano continuamente, senza perdere un secondo, gli austriaci cercano farle tacere scaraventandole sopra gran numero di 305. Il cucuzzolo è ricoperto di fumo grigiastro, ma il colpo secco dei 75 in partenza si ode sempre, i piccoli cagnolini abbaiano furiosamente, s’ode qualche momento di rilassamento che ci fa stare in apprensione, ma una nuova scarica ugualmente furiosa ci fa conoscere che i prodi artiglieri son sempre al loro posto. Verso mezzogiorno giunge notizia che il 229° fanteria ha ripiegato nelle linee del 21° il quale regge il colpo e ricaccia gli austriaci. Le ore sono eterne. Verso le 19 giunge l’ordine di ripiegare. Io mi trovo nella baracchetta dei guardiafili, si bevono gli ultimi due fiaschetti di vino, si prepara lo zaino e si parte. Il cielo s’è già fatto oscuro, una pallidissima luna ci rischiara e ci aiuta a scendere la ripida e scomoda mulattiera di q.800. A metà strada circa, una granata scoppia davanti al mulo sul quale ho caricato lo zaino, ferisce il conducente, e lo zaino si slega e va smarrito. Non c’è tempo da perdere, e si cammina di buon passo sino alla caverna di Ravne. Qui prendo un caffè che un mio caro compagno mi porge, e dopo una breve tappa si riparte in cerca della 67° divisione che dicono essersi spostata nel vallone del Rohot. Non sto a raccontare tutte le peripezie della notte; avanti, indietro, sali e scendi, finalmente verso le 3 del mattino del 26 si ha il piacere di trovare il comando della divisione presso la quale dovevamo prestare servizio, in una località chiamata Gabric. Qui ci preparano una buona tazza di caffè che abbiamo avuto l’avvertenza di portarci dietro e si aspetta che spunti l’alba di uno dei più terribili giorno ch’io abbia corso. 

26 – E’ appena chiaro, il tenente chiama i guardafili a raccolta e da gli ordini per lo stendimento di alcune linee che debbono collegare la divisione col 2° C.A. Uno dei guardafili (un buon ragazzo del 98) si sente poco bene ed io mi offro volontario per sostituirlo e si parte con 4 o 5 rotoli di filo volante. Ad un certo punto vediamo sul M. Cavallo (1) a breve distanza da noi, un accorrere furioso di soldati, non si può distinguere se sono italiani od austriaci, ma noi nella convinzione che il nemico sia ancora distante si procede tranquilli. Siamo quasi al termine del nostro compito quando cominciano a fischiarci vicinissime le prime pallottole di fucile. Non c’è più da dubitare, gli austriaci ci sono addosso. Colla maggior calma possibile si termina il lavoro e si fa ritorno al comando. Qua regna una confusione indescrivibile. Anche gli ufficiali sono pallidi pallidi, e il fragor della mitraglia va man mano aumentando ed avvicinandosi. Quattro pezzi da 75 piazzati a poche decine di metri da noi sparano continuamente a zero assordandoci terribilmente, e ogni tanto si sente nelle orecchie il miagolio caratteristico delle pallottole da fucile. Si ode pure il sibilo dei proiettili nemici che vanno a cadere ad alcune centinaia di metri sollevando nembi di polvere e sassi. Il momento è sempre più critico, e aggrava ancora la situazione la mancanza di notizie. Sono le otto quando il tenente Terranova che comanda la nostra stazione giunge agitatissimo col generale Baronis (2). Qualche cosa di grave dev’essere successo, infatti rivolto al C.S.M. pronuncia le parole “Debbo sempre far tutto io, io debbo essere da tutte le parti, se non prendevo io il comando d’un battaglione e non lo conducevo all’assalto a quest’ora tutta la divisione col comando sarebbe in mano al nemico”. Poi voltatosi e visti tutti noi in attesa di ordini urla “ Cosa ci fate ancora voi qui? C’è tempo una decina di minuti, staccate gli apparati, lasciate la vostra roba, e portate in salvo tutto il materiale che vi è possibile”. Noi non attendiamo altro, si prendono gli apparati e via di corsa, per una mulattiera ripidissima ove il fango ci arriva a metà gamba. Scendiamo il vallone del Rohot, e per la selletta di Palievo arriviamo sulla strada che da Globna conduce a Plava. Qui la confusone è indescrivibile, carri, cannoni, carrette, colonne di truppe interminabili, lungo la strada cavalli morti, camion rovesciati,e non è che dopo grande fatica che possiamo attraversare il ponte sull’Isonzo che conduce a Plava. Sono le 13. Areoplani nemici indisturbati volano a bassa quota e ci stupisce il fatto che non venga lanciata nemmeno una bomba, benché le strade siamo tutte gremite di soldati e di carriaggi. Il pericolo di rimanere in mano al nemico è per ora scongiurato e ci fermiamo un momento a sbocconcellare un pezzo di galletta trovato lungo la strada. Verso le 13:30 imbocchiamo la mulattiera del Grune e alle 15:30 arriviamo a Verovlje.. Credevamo che la nostra linea di difesa fosse il Corrada – Planina – Sabotino e Verovlje. Ci ritenevamo quindi fuori pericolo, ma la confusione era troppo grande per renderci completamente tranquilli. Lunghe colonne di camions, trattrici, carri e salmerie di reggimenti non appartenenti al 2°C.A., passavano provenienti da Liga. Domandata la causa di tutto questo trambusto, ci viene riferito che gli austriaci avevano varcato l’Isonzo a Cambresco e che stavano per scendere la valle dello Iudrio. Non c’era da perder molto tempo, stanchi, affamati, riprendiamo la nostra strada ed arriviamo verso le 18 a Medana sede della nostra compagnia. Si mangia un boccone e ci buttiamo a dormire, tranquilli, nella certezza che le ns. peripezie fossero terminate. 

27 – Verso mezzogiorno giunge l’ordine di continuare la ritirata. La compagnia dispone che parta prima uno scaglione di 100 uomini per recarsi a Zugliano, paesetto vicino a Udine, dove il 2° C.A. va temporaneamente a risiedere. Io appartengo a questo 1° reparto e verso le 13 si parte. Dopo una diecina di Km io e Raimondo (un caro compagno dal quale non mi son più separato durante tutto il viaggio) siamo costretti a fermarci causa la grande stanchezza, causata dalla marcia forzata del giorno prima. Mentre stavamo sbocconcellando due mele comprate da una donna, giunge il ciclista del reparto e ci avvisa che i nostri compagni sono saliti su delle trattrici che debbono recarsi ad Udine e che non sono a molta distanza. Ci facciamo coraggio e di buon passo raggiungiamo la colonna e montiamo contenti di risparmiare tanta strada a piedi. Intanto il tempo si oscura e comincia a cadere una pioggerella fine fine. Per colmo di sventura Raimondi non ha la mantellina, ci copriamo tutti e due colla mia e finiamo per bagnarci tutti e due sino alla midolla delle ossa. S’è fatto notte, Cormons brucia, si vedono delle fiammate terribili, il cielo è tutto rosso. Anche dalla parte dei monti si notano immense vampate che hanno la durata di 10 – 12 secondi e non abbiamo potuto dedurre da che causate. Gli ospedaletti numerosi che si trovano lungo la strada che noi percorriamo, hanno avuto l’ordina di sgombrare immediatamente, i malati ed i feriti sono sparsi per le strade, vestiti in tela, colla berretta bianca in capo, ed è una scena veramente straziante il vedere i feriti alle gambe trascinarsi a stento appoggiati agli altri febbricitanti; non si ode che lamenti, ed intanto l’acqua continua a cadere fitta, incessante, rendendo più lugubre la scena già fin troppo commovente.Verso le 23 arriviamo a Udine e ci rechiamo allo scalo merci coll’intenzione di passar li la notte. Non posso descrivere quel che qui si vede. Le strade sono ingombre di carriaggi, soldati, donne, uomini, bambini, chi piange, chi urla, chi bestemmia, pare il finimondo. Io e Raimondi andiamo in cerca di qualcosa da mangiare e lo troviamo in una bottega di fruttivendola; ci riempiamo le tasche di pere e mele magnifiche e ci accingiamo a far ritorno. Mentre passiamo davanti alla stazione, internamente si ode un colpo di fucile. Si sta ragionando sulle cause che eventualmente possono aver causato quel colpo, quando tutta la turba che si trova in stazione si rovescia sulla strada mandando strilli e urla “I tedeschi! I tedeschi!”. Noi ci tiriamo da parte per non venire investiti da quella turba, quando un reparto di artiglieri a cavallo viene alla nostra volta a carica furiosa ed investe e calpesta quanti disgraziatamente si trovano sul loro passaggio. L’urlo aumenta ancora, non si capisce più nulla e noi ci ritiriamo stanchi di osservare tante nefandezze. Allo scalo delle merci non ci riteniamo al sicuro, e dato che dobbiamo recarci a Zugliano dove risiede il 2° corpo col nostro reparto, crediamo opportuno lasciar Udine e metterci in marcia per tale destinazione. Sono quasi le tre e l’acqua continua a venire come Dio la manda. Si cammina un oretta circa, poi, vista una casa, stanchi morti entriamo. Un vecchietto, al nostro rumore s’alza, si accende un po’ di fuoco, ci prepariamo una tazzina di caffè ed intanto abbiamo fatto venire le sei. Ci rimettiamo in marcia. Lungo la strada incontriamo alcuni borghesi che fuggono, e noi ci mettiamo dietro e verso le 7 ½ giungiamo a Zugliano. Qui la confusione ha già raggiunto l’apice, la strada è ingombra di carri tirati da cavalli, muli, asini, vacche, buoi; maiali che grugniscono, galline che starnazzano, bimbi che urlano, donne che piangono, è tutto quel che si vede e si sente. C’informiamo presso due carabinieri nel luogo ove trovarsi il Com.do del 2° C. A. e ci viene riferito che è partito al mattino di buon tempo. Non ci rimane altro a fare, seguiamo la colonna interminabile per non rimanere in mano al nemico. Non dimenticherò mai la scena straziante che ebbi la disgrazia di osservare durante la marcia di quell’interminabile giorno. Una donna, con un bambinello in braccio, camminava avanti a me, e procurava tenersi dietro ai carri per ripararsi alla meglio dalla pioggia che un vento terribile sbatteva sulla faccia. Ad un tratto manda un urlo terribile, il bambino che teneva in braccio era morto. Mai come allora, davanti a tale dolore, maledì la guerra, avrei voluto anch’io piangere, e tutte la mie sventure mi parvero ben meschine davanti a quella, grande, incommensurabile. Mai, come in quel momento, ricordai la mia buona mamma, la vidi inginocchiata nella preghiere al ns. Dio per la mia salvezza, pensai al dolore della sua incertezza e piansi, si piansi. Ci rimettemmo in marcia, lungo i fossi, era un disastro; cavalli morti; cannoni e carrette rovesciate, zaini, fucili; la vera rovina. Giungiamo davanti ad un Angar in fiamme, quei bei apparati, che tante volte avevano visto nel puro orizzonte il nemico, crepitavano, inzuppati di benzina e di petrolio. Tutta desolazione, tutta rovina e, questi spettacoli, ci seguiranno fino a Treviso. Finalmente verso sera si giunge a Codroipo affamati come belve, e senza un pezzo di pane. La fortuna ci è benignia, e possiamo trovare un po’ di pane che divoriamo in un secondo. Calmati così gli stiracchiamenti dello stomaco, accendiamo un po’ di fuoco sotto una tettoia, e li attendiamo che passiamo un po’ d’ore mentre ci riposiamo un po’ e all’ingrosso ci facciamo asciugare. Verso le una si riparte e trovata una cascina, andiamo sul fienile e ci addormentiamo. Che ristoro, un letto di piume non ci avrebbe procurata tanta gioia. Sono le cinque del giorno 29 quando ci svegliamo, e ci rimettiamo in marcia, sempre sotto la pioggia. Verso le otto attraversiamo il Tagliamento ed alle 10 siamo a Casarsa. Il cielo si è fatto limpido ed il sole tanto invocato spunta finalmente. Alla stazione troviamo un vagone di seconda libero e vi montiamo sopra. Dopo alcuni istanti monta sullo stesso scompartimento una famiglia composta dal padre, la madre, 2 giovanette e due ragazzi. Sono profughi di Udine e si recano a Venezia. Anche loro piangono sulla disgrazie comuni, e ci raccontano i loro fatti. Verso le undici due aeroplani nemici vengono a volare sopra la stazione, e lasciano cadere alcune bombe. Una viene a scoppiare proprio sul binario vuoto accanto a noi, in direzione del nostro scompartimento. Vi lascio immaginare la paura di quella famiglia! La mamma specialmente. Dovetti adoperare tutta la mia politica per farla alzare da sotto il seggiolino dove s’era rannicchiata per ripararsi. Dopo una mezz’oretta parte finalmente il treno che deve condurci a Pordenone. Ma le fermate son troppo frequenti, dopo un paio d’ore scendiamo e preferiamo proseguire a piedi. Alla sera giungiamo a Pordenone. Durante il tragitto fatto in treno abbiamo potuto rubare un bel pezzo di carne da un carro merci, e trovata una casa lo facciamo cuocere e lo mangiamo col più grande appetito innaffiandolo con del buon vinello. La signora che ci ha ospitati è tanto gentile che ci permette di dormire in cucina, e mezzo brilli ci allunghiamo sotto il tavolo e dopo poco si russa come ghiri. 

30 – La signora viene a svegliarci che son quasi le sette, mangiamo una buona colazione, e dopo i dovuti ringraziamenti si riparte. Il cielo s‘è fatto cupo cupo e l’acqua ricomincia a cadere. Sulla via incontriamo altri compagni della 6° comp.a i quali ci riferiscono che il posto di concentramento è a Treviso, ci rechiamo alla stazione e montiamo sul primo treno che capita. Che giornataccia, e che fame!! Alla notte giungiamo a Treviso e siccome non sappiamo dove andare ci mettiamo a dormire sopra il vagone. 

31 – Gli stiracchiamenti dello stomaco ci svegliano di buon mattino ed usciamo in cerca di qualcosa da mangiare. 

In un foglio a parte è riportato anche il resto del viaggio con la cronologia delle diverse tappe e alcuni ricordi:

27- Medana – Cormons – Udine 
28 – Udine – Codroipo 
29 – Codroipo – Casarsa – Pordenone 
30 – Pordenone – Treviso 
31 - Dosson (sino al 3) 
3 – Ore 9 patate crude. Ufficiale fant. parla di cannoni per sedare la ns. fame. Ore 16 lasciato Dosson. Notte terribile…. 
4 – Noale – Dolo 
5 – Dolo – Ponte S.Nicolò 6 – S.Nicolò – Monselice – notte a Monselice 
7 – Monselice – Sanguinetto 
8 – Salizzole 
15 – Ore 9.30 partenza da Salizzole. Notte in vista di Mantova 
16 – ore 8 in vista di Mantova. Giro immenso attorno alla città – Fango – ore 12.30 – Tappa oltre Mantova – notte a 7/8 chilometri oltre Borgoforte 
17 – fame – freddo – Luzzara – primo rancio ore 13.30 – notte 1/2 Km oltre Gustalla –vino - uva 
18 – arrivo a Poviglio ore 13 – rancio ore 16:23 – partiti da Poviglio – notte a Guastalla 
24 – messe tende a Guastalla – notte tenda a Guastalla 
25 – ore 3 sveglia – partenza ore 11 – notte Padova Campo marte in treno 
26 – ore 8 partenza

A Cura di Arturo E. A.

Note:
1) Kobilek
2) Si tratta del maggior generale cav. Luigi Baronis, comandante della 67° Divisione dal 15 luglio al 14 novembre 1917. Per la condotta in quei giorni fu decorati di Medaglia d'Argento al valor militare con la seguente motivazione: "Comandante di una divisione, colle sagge disposizioni prese, con l'esempio costante da lui dato, di fermezza coraggio e spirito di sacrificio, provvedendo anche personalmente e con grande sprezzo del pericolo, all'esecuzione tempestiva, di atti offensivi, riusciva, superando gravi difficoltà di ogni genere, ed in situazione assai critica, a tenere in rispetto il nemico, rallentandone l'avanzata ed a condurre pari tempo in salvo, la propria divisione - Bainsizza- Piave Maserada, 24 ottobre - 9 novembre 1917"

Bibliografia:
- Annuario degli Ufficiali del Regio Esercito - Anno 1910, Poligrafico dello Stato
- Enciclopedia Militare, Volume 2 - Istituto editoriale scientifico S.A.  1927 - 1933
 - Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918 , Roma - Libreria dello Stato.
-   Sito internet dell'Istituto del Nastro Azzurro ttp://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/
- "1914-1918 Storia della Grande Guerra sul fronte Italiano" di Gianni Pieropan

martedì 11 ottobre 2016

11 ottobre 1916 - 11 ottobre 2016: Sedulio Brazzini, un eroe tra tanti

Esattamente un secolo fa, in questi giorni d'inizio ottobre, il Regio Esercito Italiano - ed in particolare le sue II e III Armata - si trovava impegnato nell'Ottava Battaglia dell'Isonzo.
In questo breve articolo, che integreremo nelle prossime settimane, vogliamo ricordare, a cento anni esatti di distanza, il sacrificio di un ufficiale italiano, tra i tantissimi che persero la vita in quei giorni di scontri furibondi: il suo nome era Sedulio Brazzini.

Il S.Ten. Sedulio Brazzini. Foto tratta dall'Albo d'oro dei Caduti Cavesi 1895-1945, a cura del Gr. Uff. S. Fasano, e liberamente rielaborata.

Sedulio Brazzini era nato a Cava de' Tirreni il 18 luglio del 1883: la sua famiglia, tuttavia, proveniva dalla Toscana, donde il padre, Tebaldo, era stato chiamato in Campania per causa di servizio. Questi, infatti, intorno al 1870 era stato nominato verificatore presso l'allora Regia Cointeressata dei Tabacchi di Cava. Qui gli erano nati cinque figli, l'ultimo dei quali era stato proprio Sedulio nel 1883. L'anno successivo, nel 1884, alla scadenza della concessione pubblica alla Regia Cointeressata, si determinò probabilmente un avvicendamento di personale, in seguito al quale Tebaldo Brazzini dovette essere destinato alla Regia Manifattura Tabacchi di Chiaravalle, in provincia di Ancona. Insieme a moglie e figli, egli prese dunque dimora a Jesi, centro che poteva offrire migliori prospettive per la famiglia.
A Jesi, il giovane Sedulio trascorse dunque l'infanzia e la giovinezza, frequentando l'Istituto Tecnico "Pietro Cuppari", presso il quale, nel 1905, si diplomò agrimensore. L'anno precedente la sua classe di nascita era stata chiamata a prestare il servizio militare di leva: Brazzini, tuttavia, con buona probabilità era stato inscritto nella terza categoria, e pertanto esentato dall'entrata in servizio. 

Alunni e docenti del IV corso di agrimensura dell'Istituto Cuppari (anno 1904-1905). Brazzini è il primo in piedi da sinistra. Foto tratta dal sito www.icupparini.it e liberamente rielaborata.

Terminati gli studi, Brazzini trovò  dunque impiego presso l'amministrazione del Regio Catasto. Il suo ufficio lo condusse in varie località d'Italia, tra cui Messina, ove giunse poco tempo dopo il rovinoso terremoto del 1908. In quello stesso periodo, si sposò, a Jesi, con Vittoria Serrani, maestra elementare. La coppia, negli anni successivi, ebbe quattro figli. 
In mancanza di documenti, ci tocca, ora, compiere un balzo in avanti, sino al 1916. Sedulio Brazzini, in precedenza, era stato chiamato alle armi ed era stato destinato a svolgere i corsi accelerati da allievo ufficiale. Uscitone col grado di sottotenente, era stato assegnato alla Fanteria, e destinato al 12° Reggimento della Brigata "Casale", con sede, in tempo di pace, a Cesena.
La Brigata "Casale", sin dai primi giorni di guerra, era stata impegnata nel settore carsico, contro il Podgora (in italiano, noto anche come Monte Calvario), immediatamente a ovest della città di Gorizia. Il Podgora ed il Sabotino erano per l'appunto i due pilastri difensivi della città di Gorizia, poderosamente fortificati e resi quasi inespugnabili; potevano contare sul tiro di sbarramento e di repressione dell'artiglieria imperial-regia che si scatenava puntuale ad ogni attacco delle Brigate italiane. La "Casale" si dissanguò contro il Podgora nella I, II, III, IV Battaglia dell'Isonzo, riuscendo ad ottenere, progressivamente, ridotti successi in termini di avanzata verso Gorizia. La situazione non si modificò neppure in esito alla V Battaglia dell'Isonzo (11-15 marzo 1916), che non condusse a sostanziali modifiche negli schieramenti, anche a causa delle proibitive condizioni meteorologiche nelle quali si svolse. 
Decisiva, tuttavia, sarebbe stata la successiva offensiva generale progettata dal Comando Supremo. 

La Brigata "Casale" si trovava inquadrata, insieme alla Brigata "Pavia", nella 12^ Divisione dell'VIII Corpo d'Armata. Al comando della Divisione, il tenente generale Fortunato Marazzi. All'alba del 6 agosto 1916, iniziarono, su tutto il fronte da Tolmino al mare, le operazioni della VI Battaglia dell'Isonzo. La "Casale" mosse all'assalto dalle sue posizioni poste sul Calvario e sotto il Podgora. Contemporaneamente altre truppe del VI Corpo d'Armata investirono la linea nemica Sabotino-Oslavia e a sera si registrarono i primi importanti cedimenti austriaci. Respinti i contrattacchi avversari del giorno 7, la Casale l'8 riprese l'avanzata verso la sponda destra dell'Isonzo. Alle ore 15 le prime pattuglie passarono a guado il fiume e presero posizione tra le prime case di Gorizia

Cartolina illustrata relativa all'azione della Brigata "Casale" nella Battaglia di Gorizia (8-10 agosto 1916).

Dunque Gorizia era conquistata, grazie al valore dei bravi fanti della "Casale" - i "gialli del Calvario" come erano soprannominati, per via del colore delle mostrine - e dei loro compagni della "Pavia" e di tutte le truppe ausiliarie che si sacrificarono in quei giorni tragici ed eroici. I due reggimenti della Brigata, nei giorni seguenti, passarono a presidiare le nuove posizioni lungo le sponde del torrente Vertoibizza. 

Tuttavia, la situazione strategica per gli Italiani si era fatta assai complessa: gli austro-ungarici, perduta Gorizia, si erano ritirati sulle colline circostanti la città e dalle loro posizioni fortificate tenevano praticamente sotto assedio le truppe italiane, pur vittoriose.
I successivi movimenti offensivi che la Brigata Casale furono dunque essenzialmente finalizzati a raggiungere tale linea fortificata, per guadagnare posizioni maggiormente favorevoli: così fu per la Settima Battaglia dell'Isonzo, svoltasi dal 14 al 18 settembre successivi, che non condusse tuttavia a risultati apprezzabili.
Dunque, il Comando Supremo progettò una nuova offensiva, che avrebbe dovuto scattare nel pomeriggio del giorno 10 ottobre 1916: essa sarebbe passata alla storia quale Ottava Battaglia dell'Isonzo.
Dal pomeriggio del 9, la nostra artiglieria iniziò un tiro di preparazione contro tutta la fronte della Terza Armata, che proseguì sino al mattino del giorno successivo. Alle ore 14,50 del 10, le fanterie scattarono all'attacco. All'VIII Corpo d'Armata (Divisioni 11^ e 12^) era affidato il compito di attaccare il settore a settentrione del torrente Vippacco. L'offensiva dell'VIII C.d.A. avrebbe dovuto svolgersi su tre direttrici: alla 12^ Divisione erano assegnati gli obiettivi costituiti dalle quote 103 e 89. La divisione avrebbe dovuto irrompere sulle posizioni nemiche passando attraverso due varchi di circa 500 metri ciascuno, da aprirsi nelle posizioni poste ad oriente dell'abitato di Vertoiba Inferiore.
Dopo una giornata di combattimenti, a sera, nel settore in discorso, gli Italiani non avevano conseguito risultati sostanziali: sul fronte della 12^ Divisione, la Brigata "Pavia", attraverso uno dei due progettati varchi, era riuscita a superare la prima linea nemica, non riuscendo a raggiungere tuttavia la quota 89; la "Casale", invece, aveva trovato i reticolati ancora intatti, ed era stata costretta a spostarsi verso quello attraverso cui erano passati i fanti della "Pavia". Il movimento, lento e ostacolato dal nemico, dovette essere interrotto dal sopraggiungere dell'oscurità e dall'ordine di sospensione dell'azione.
Il Comando Supremo decideva, pertanto, per la prosecuzione dell'azione il giorno successivo, 11 ottobre. All'VIII C.d.A., che costituiva l'ala destra dello schieramento, era ordinato di procedere nuovamente contro gli obiettivi già attaccati il giorno prima. La 12^ Divisione ripetè dunque l'avanzata, con la "Casale" che puntava, ancora una volta, contro la quota 103. 
Il sottotenente Sedulio Brazzini, al comando del proprio plotone, si gettò all'assalto, insieme agli altri reparti del 12° Reggimento. Lo svolgersi dei suoi ultimi momenti è fotografato dalla motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare che sarebbe poi stata concessa alla sua memoria:
"Spintosi arditamente col suo plotone a circa 50 metri dal nemico, sotto un vivo fuoco di fucileria e bombe, spiegò singolare energia e valore nel tenere il reparto sulla posizione raggiunta. Cadde poi colpito a morte."

Raccolto dai suoi uomini, lo sfortunato ufficiale fu inumato nel piccolo cimitero di guerra di Vertoiba Inferiore. Le sue spoglie, negli Anni Trenta, furono traslate presso il Sacrario Militare di Oslavia, dove, tuttavia, riposano fra gli ignoti.
Alla memoria di Sedulio Brazzini, grazie all'impegno di un benemerito cittadino, il gr. Uff. Salvatore Fasano, l'amministrazione comunale di Cava de' Tirreni ha recentemente dedicato una via. 

A cura di Niccolò F.


BIBLIOGRAFIA
- S. Fasano, Albo d'oro dei Caduti Cavesi 1895-1945, Città di Cava de' Tirreni, 2000.
- AA. VV., L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. III, Roma, Libreria dello Stato.
- Riassunti storici dei Corpi e Comandi, Vari Volumi, Roma, Libreria dello Stato.

sabato 18 giugno 2016

Le ultime lettere di Pietro De Cupis, difensore del Monte Asolone

Ci si concederà la licenza di aver voluto riecheggiare, nel titolo di questo post, una celebre opera del Foscolo. Eppure, ci piace credere che il sommo Autore non si adonterà del fatto di essere citato in questo blog, ispirato, in fondo, agli stessi sentimenti da lui cantati nei "Sepolcri". Non di parodia, dunque, ma di omaggio si tratta; come si noterà leggendo della breve vicenda di un giovane "forte" di cento anni fa, del quale chi scrive ha recuperato alcuni ricordi.

Pietro De Cupis, aspirante del 254° regg. fanteria Brigata "Porto Maurizio". Foto tratta dal volume "I caduti di Poggio Moiano e Cerdomare nella Grande Guerra" di A. Del Vescovo.

Pietro Lamberto De Cupis nacque il 2 aprile del 1894 a Poggio Moiano, piccolo comune dell'Alta Sabina che, al tempo, faceva parte della "Provincia dell'Umbria". I genitori erano Sante De Cupis e Giuseppa Santoboni. Il padre, nel 1901, aveva superato l'"esame di patente di segretario comunale" [1], il che doveva averlo spinto, insieme alla famiglia - della quale faceva parte almeno un fratello, Dionigi -, a lasciare il borgo natio per trasferirsi altrove. Intorno agli Anni Dieci, i De Cupis si erano infine trasferiti a Roma. Il giovane Pietro proseguì gli studi, iscrivendosi, probabilmente, anche all'università: ciò lo si trae dal fatto che, ventenne, fu registrato dalla commissione di leva quale studente.
Per l'appunto, nel novembre del 1914, il nostro fu chiamato al reclutamento con la classe del 1894 di fronte al consiglio di leva di Rieti: tuttavia, trovandosi a Roma, il giovane non dovette avere contezza della chiamata alla leva, finendo per essere addirittura dichiarato "renitente", con tutte le spiacevoli conseguenze del caso. Chiarito il disguido, egli fu dunque ammesso alla visita di leva "per delegazione" a Roma. Visitato dunque in gennaio, fu giudicato affetto da insufficienza toracica, e dunque "mandato rivedibile" ad altra visita, da tenersi nel luglio 1915, per "debole costituzione". Lo specchietto dei "contrassegni personali" ce lo descrive alto 1.70 m, con capelli castani lisci, occhi castani, e di colorito roseo.
L'entrata in guerra del Regno d'Italia, il 24 maggio 1915, non comportò apparenti stravolgimenti ai ritmi dell'amministrazione militare, tanto che De Cupis fu sottoposto a nuova visita addirittura a metà agosto. Anche in tale occasione, i medici confermarono la "debolezza di costituzione" del giovane, rimandandolo "alla ventura leva". Di quella estate, ci è pervenuta un breve cartolina del giovane Pietro, che da Veroli, nel frusinate, scriveva al padre:
  • Da Veroli (Frosinone), il 30 luglio 1915.
"Carissimo papà,  
la mia salute è [ottima] e così mi auguro sia la tua e di tutti di casa. Avete buone notizie degli amici e parenti combattenti? Auguriamoci che presto i loro sacrifizi siano coronati da pieno successo. - Dionigi come sta? Dov'è? - 
Saluti a tutti, baci a Dionigi e zia 
Vi bacio,
aff[ezionatissimo] Pietruccio"

Simpatica cartolina satirica relativa alla presa di Ala (TN), spedita da Pietro De Cupis il 30 luglio 1915 (coll. privata).

Del successivo svolgimento della vicenda umana e militare del giovane De Cupis, sino al 1917, non può purtroppo dirsi molto, in mancanza di corrispondenza e a causa della dispersione della documentazione matricolare [2]. Da quanto emerso, si è potuto appurare che egli fu nuovamente rimandato alla leva successiva - presumibilmente per i medesimi problemi fisici già emersi - e fu, infine, arruolato con i coscritti della classe di leva del 1896. A tal proposito, si osserva che le operazioni di reclutamento di tale classe iniziarono già alla fine del 1915, proseguendo sino alla prima metà del 1916.
A nostro avviso, De Cupis dovette infine essere chiamato alle armi negli ultimi mesi di quell'anno. Egli dovette dunque venire a trovarsi in una strana e non semplice situazione: il suo livello d'istruzione - e, ce lo vogliamo immaginare, le sue qualità personali - lo facevano un candidato ideale alla carriera da ufficiale; le sue condizioni fisiche, tuttavia, lo rendevano scarsamente idoneo al ruolo.

In ogni caso, egli fu assegnato alla Fanteria e destinato, dopo altre vicissitudini, al 254° Reggimento della Brigata "Porto Maurizio", unità costituita a febbraio del 1917 nei dintorni di Treviso. In particolare, il 254° era stato formato con aliquote del 79° Reggimento Fanteria della Brigata "Venezia", trovando il proprio deposito sempre presso quest'ultimo reparto, a Verona.

Frattanto, De Cupis era stato nominato "aspirante ufficiale", e assegnato al Battaglione di Marcia della Brigata. Da ulteriori documenti, scopriamo un dettaglio importante: il giovane, in precedenza, doveva aver combattuto sul Monte San Gabriele, ov'era rimasto ferito. E' dunque dubbio se il fatto di essere incaricato di compiti "di retrovia" dipendesse dalle sue non eccellenti condizioni fisiche - che ne avevano ritardato l'arruolamento - o, più probabilmente, dai postumi della ferita riportata in combattimento.

Ad ogni modo, il 13 giugno 1917, egli si trovava coi suoi uomini a Bussolengo, un "importante snodo stradale" a poca distanza da Verona, impegnato nel primo addestramento e nel trasferimento verso il fronte dei complementi provenienti dal deposito. Così scriveva al padre, in questa bella lettera giunta fino a noi:
  • Da Bussolengo (Verona), il 13 giugno 1917.
"Carissimo papà, ho ricevuto oggi la tua del 10 giugno. Per l’affare della rivoltella non so che cosa dirti, indirizzare il pacco ad un borghese non si può più perché dove sono ora non vi sono borghesi, sia perché, anche potendo, io starò poco ad andare nella linea di fuoco. Per ora mi trovo in seconda linea in un importante snodo stradale, attendato su di una collina dove son tutti boschi e perciò ben mascherati dalla vista degli aeroplani che passano frequentemente specie in questi giorni.
Potresti provare a mandare soltanto la rivoltella, lasciando andare le altre cose. La involti per bene con degli stracci qualsiasi e sopra il pacchetto ci metterai che contiene biancheria. Però anche facendo così penso che la cosa andrà molto per le lunghe perché quando arriverà il pacco io già sarò partito da qui e prima che lo rimandino al nuovo indirizzo ci vuole il ben di Dio. Tutto ciò mi secca perché avrei avuto piacere [di] tenere quella rivoltella anziché chiederne una di ordinanza. Basta per ora regolati come vuoi. – Dunque hai ricevuto la mia roba di lana da Pasuello Isabella? St[a] bene. Per ora non ho bisogno di nulla. – 
Mi chiedi della mia  vita, dei miei soldati, ma posso dirti ben poca cosa. Che vuoi, questo è un battaglione di passaggio, una riserva continua per la Brigata che è in linea. – Figurati che la mia compagnia che contava più di 200 uomini si è ridotta ad una ventina di uomini. Devono arrivare altri complementi ai quali mentre si da un po’ di istruzione si mandano via ad ogni richiesta, e le richieste ci sono tutti i giorni. – Così pure gli ufficiali; diversi giorni fa da qui partirono molti aspiranti uno dei quali poverino trovò subito la morte appena giunto in linea [3]. – Così anch’io non so quant’altri giorni potrò rimanere qui, dove in fin dei conti non sto tanto male quantunque a portata di tiro dei shrappnell nemici. – 
Nel giornale di ieri avrai letto il comunicato Cadorna della nostra avanzata. L’azione ha avuto un po’ di pausa ma riprenderà – Non posso prolungarmi di più perché c’è la censura e del resto è patriottico non parlar molto. – Come ti dissi nella mia ultima che non so se hai ricevuto, state tranquilli ma nel contempo preparate gli animi - come del resto filosoficamente faccio io – a cose ben più dure. Nella parte dove è la mia brigata è proprio il perno dell’azione che si svolge nel Trentino [?]. Qui è molto raro avere delle buone giornate, ogni tanto abbiamo delle tempeste, una delle cause per cui le azioni si rendono molto difficili e il soldato ha bisogno di avere sufficiente forza morale e materiale. –
Quei due Monterotondesi [4] che incontrai non saprei precisarteli, so che erano del '97. Il fatto fu così: io andai in mezzo al loro reggimento che era in un prato con tutta la brigata per rintracciare un certo Sandolani di P[oggio]. Moiano che poi non trovai. Mentre domandavo a tutti se conoscevano quest’ultimo mi sento dire a bruciapelo questa frase: “ma tu non se il fratello di Dionigi?” -  Io avevo fretta e scambiai loro [poche] parole augurandogli buone cose. Nel giorno stesso quella brigata partì per il Carso. –
Ti manderò del denaro quando avrò l’indennità di entrata in campagna che ancora non mi hanno data. Il collega di Veroli non mi ha risposto a[lla] cosa che gli chiedevo circa lo stipendio, risponderà quest’altra volta. –
Finora non mi arriva nessun giornale però qui leggiamo il giornale di giornata. Mi rallegro dell’episodio fortunato di Mario. Inviai una cartolina al Dr. Stagni e mi ha cortesemente risposto.
Ringrazio Dionigi della sua lettera e stia allegro. Anche voialtri state di buon animo, in certe circostanze bisogna essere fatalisti, il mio destino è già tracciato. Se devo morire, non c’è da fare proprio nulla. Se invece è destinato diversamente, come mi auguro, non c’è nulla che mi strappa dalla vita. Dovresti essere qui per vedere che movimento di truppe, di camions, di quadrupedi!
Tanti baci affettuosi, Pietruccio"
Busta contenente la lettera inviata da Pietro De Cupis al padre Sante il 13 giugno 1917 (coll. privata).

Da questa missiva, si possono trarre alcune interessanti considerazioni. In primo luogo, dalla posizione geografica nella quale si trovava De Cupis mentre scriveva - appunto Bussolengo - parrebbe escludere che egli potesse trovarsi "a portata di tiro" degli shrapnel austriaci. Egli, come notato, doveva con buona probabilità essere stato incaricato di attività ausiliarie, in seconda linea, quale appunto quella di soprintendere al trasferimento dei coscritti dal deposito reggimentale: probabile, dunque, che il giovane aspirante volesse calcare un po' le tinte nella corrispondenza coi famigliari. Interessanti anche le insistenze per ricevere da casa "quella rivoltella", evidentemente legata a qualche episodio della vita civile, per evitare di usare quella di ordinanza.
Infine, degna di particolare nota è la chiosa finale: "il mio destino è già tracciato. Se devo morire, non c'è proprio nulla da fare". Queste parole rivelano un profondo fatalismo, stato d'animo assai diffuso nei nostri giovani combattenti, ma anche una certa, almeno apparente, serenità di fronte all'eventualità della morte in combattimento, tanto da farne argomento di conversazione epistolare con la famiglia. Il che, per la nostra odierna sensibilità, rappresenta certamente un motivo di profonda riflessione.

Tra le carte del giovane De Cupis giunte fino a noi, si è conservato anche un interessante volantino di propaganda pro-Intesa, redatto in quattro lingue (tedesco, magiaro, sloveno e ceco), e propabilmente concepito per essere lanciato sopra le linee austro-ungariche. Qui ne proponiamo una traduzione:
"L'offensiva tedesca in Francia è fallita. I Francesi e i Britannici hanno condotto un contrattacco vittorioso. Le perdite dei Tedeschi sono terribili oltre qualsiasi immaginazione. Nei primi sei giorni della grande strage sono state distrutte dalla nostra artiglieria e dal fuoco delle mitragliatrici quaranta divisioni tedesche."
Interessante volantino propagandistico quadrilingue (in alto, tedesco e magiaro; in basso, sloveno e ceco), probabilmente redatto dal nostro Servizio P per essere lanciato sopra le linee austro-ungariche



Trascorsero cinque mesi, sino al fatale ottobre del 1917. De Cupis, rimasto aspirante, si trovava ancora presso Bussolengo inquadrato sempre nel battaglione marciante della Brigata "Porto Maurizio".
Nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1917 prese dunque avvio la poderosa offensiva austro-tedesca che produsse lo sfondamento dello schieramento della Seconda Armata presso Caporetto. Gli eventi che seguirono sono tristemente noti, e non crediamo necessario ripercorrerli in questa sede.
I reparti del nostro esercito, sulla fronte Giulia, cominciavano il ripiegamento. Nel volgere di pochi giorni, la necessità di accorciare il fronte - contestualmente al movimento di ripiegamento sul fiume Piave - inducevano il Comando Supremo a disporre anche il ripiegamento dei reparti schierati sul fronte dolomitico.

In quegli stessi giorni, dunque, la Brigata "Basilicata" - formata dal 91° e 92° reggimento di fanteria -, schierata nel settore della Val Boite ed inquadrata al momento nella 17^ Divisione, riceveva l'ordine di ripiegare verso il Piave, per prendere posizione nel tratto di fronte tra il Monte Tomba e la stazione di Pederobba.

Dettaglio di una cartolina reggimentale del 92° Reggimento Fanteria Brigata "Basilicata".

Il movimento fu concluso intorno al 10 novembre: dal 10 al 21 novembre, i reparti della "Basilicata", affiancati dalla Brigata "Como" e da unità di Alpini, Bersaglieri e Arditi, combatterono accanitamente per difendere il Monte Tomba e il Monfenera dai continui attacchi degli Austro-Tedeschi. Il 22, attaccata dal nemico in forze, la "Basilicata" fu costretta ad arretrare sul Campore Alto: qui resistette in linea sino al 26 novembre quando, per le pesantissime perdite subite, i suoi reggimenti furono ritirati dalla prima linea e inviati a Crespignaga, a poca distanza da Asolo, per riordinarsi.
Gli eventi finirono, così, per travolgere anche il giovane aspirante De Cupis, che ancora si trovava a Bussolengo presso il battaglione di marcia della "Porto Maurizio". Era giunta anche per lui l'ora di tornare in prima linea, come faceva intuire al padre in questa brevissima cartolina del 21 novembre:
  • Da Bussolengo, 21 novembre 1917.
"Carissimo papà, 
domattina partiamo per ignota destinazione. Appena a posto ti manderò indirizzo.-
Io bene, state tranquilli.-
Saluti a tutti. -
Baci a zia e a Nicolino.

Un abbraccio, tuo aff[ezionatissimo] Pietruccio"

Pietro De Cupis, dunque, lasciava Bussolengo e le retrovie, per raggiungere la zona di guerra, in attesa di essere destinato a un reparto operativo. Intanto, intorno al 26 novembre, come già detto, la Brigata "Basilicata" - provata e pressoché decimata durante gli asperrimi combattimenti sostenuti sul Monte Tomba - era ritirata dalla linea e inviata in zona di riposo.
In quegli stessi giorni, De Cupis raggiunse dunque gli accantonamenti di Crespignaga, e lì fu assegnato al 92° Reggimento Fanteria. Il 28 novembre, egli si affrettò così a darne notizia alla famiglia, comunicando la sua nuova incorporazione:
  • Dalla Zona di Guerra, 28 novembre 1917.
"Immagino la vostra preoccupazione per non aver ricevuto mie notizie in quest'ultimi giorni. Non è dipeso certo da me. -
State tranquilli, io sto bene e presto vi darò migliori notizie.
Il mio indirizzo:
92° Regg. Fanteria
7^ Compagnia
Z. d. G.
Saluti a tutti, Vi bacio con affetto,
Pietruccio.
Cartolina spedita da Pietro De Cupis  alla famiglia il 28 novembre 1917.

Nei giorni successivi, De Cupis prese così parte alle frenetiche attività per riportare in efficienza il reggimento e prepararlo a tornare in linea. Il momento era decisivo, ed era necessario il sacrificio di tutti: anche di chi, come il giovane aspirante, non si trovava probabilmente nelle condizioni fisiche idonee per un attivo impiego in combattimento.
Immaginiamo dunque questo giovinotto, con la sua salute malferma, che, dalla tranquilla routine delle retrovie, si trovò proiettato in uno dei punti più caldi del fronte.
Pietro De Cupis, assegnato, come s'è detto, alla 7^ compagnia del III Battaglione del 92°, fu posto al comando di una sezione di pistole-mitragliatrici.

Il 13 dicembre, i due reggimenti della "Basilicata" - assegnati alla 59^ Divisione - lasciarono la zona di riposo e fecero ritorno in prima linea sul massiccio del Monte Grappa. Qui, dal giorno 11, infuriava la lotta: era, infatti, ripresa l'offensiva austro-tedesca in tale settore, dando luogo alla seconda fase di quella che sarebbe passata alla storia come la "Battaglia d'Arresto" del Monte Grappa. I nostri soldati si sacrificavano sulle quote che fanno da contorno a Cima Grappa: il Col Caprile, il Col della Berretta, il Col dell'Orso, il Monte Solarolo, il Monte Spinoncia, il Monte Tomba - già ben noto ai fanti della "Basilicata" - e il Monte Asolone.
Il giorno 18 dicembre, l'aspirante Pietro De Cupis si trovava, al comando della sua sezione di pistole-mitragliatrici, schierato a difesa di una posizione sul Monte Asolone. Allo scatenarsi dell'attacco austro-ungarico, questo giovane ventiquattrenne, dal "torace insufficiente", impugnò una Villar-Perosa, non si mosse d'un passo, e aprì il fuoco, sinché non fu sopraffatto dalle pallottole avversarie. Ferito a morte, fu soccorso e portato presso l'88ª Sezione di Sanità, ove poco dopo avrebbe esalato l'ultimo respiro.
Alla sua memoria sarebbe stata conferita la Medaglia d'Argento al Valor Militare, con questa motivazione:
“Comandante di una sezione pistola-mitragliatrici, avuto l’ordine di far fronte all’avversario, forte in numero e imbandalzito da un primo successo, con ardimento e fermezza, facendo egli stesso fuoco con un’arma, mantenne saldamente la posizione, finché cadde colpito a morte.” – Monte Asolone, 18 dicembre 1917.
Nonostante il sacrificio del giovane aspirante e dei suoi bravi commilitoni, il possesso del Monte Asolone fu perduto dagli Italiani. Tuttavia, anche grazie al contributo di rinforzi Alleati, dopo altri quattro giorni di combattimenti l'offensiva austriaca fu bloccata: la "Battaglia d'Arresto" era conclusa, il piano del nemico era fallito.
Chissà quali erano le "migliori notizie" che Pietro De Cupis avrebbe voluto comunicare in futuro ai suoi cari, in quella che fu, probabilmente, l'ultima sua corrispondenza scritta in vita. Tra esse, tuttavia, ci sarebbe certamente stata anche anche quella di non aver mancato al proprio dovere, e di aver contribuito al successo delle armi italiane.
Tra le poche sue carte pervenuteci, si trova anche questa commovente bozza dell'epitaffio che, probabilmente, il padre gli volle dedicare. Con esso chiudiamo questo articolo.

Sia fulgido esempio ai venturi

LAMBERTO PIETRO DE CUPIS

Fior di soldato, di cittadino, di figlio

Che, non ancora ventiquattrenne,

Trattosi con periglio e ferito

Dalle balze del San Gabriele

Effondeva poi tutto il suo sangue

Fino all’ultima stilla

Sul sacro Monte del Grappa

Meritando così

A sé stesso la medaglia d’argento dei valorosi

Alla famiglia, ai parenti l’orgoglio del vincolo

Alla Patria il serto della Vittoria.

 

 


A cura di Niccolò F.

NOTE
[1] In G.U. n. 101 del 1901.
[2] Sotto questo profilo, ci sentiamo di ringraziare il personale degli Archivi di Stato di Orvieto e Viterbo che, con grande disponibilità, hanno tentato di aiutarci nella complessa ricerca, che del resto non è stata priva di risultati.
[3] Si trattava con buona probabilità dell'aspirante Francesco Squassante da Castelbelforte (MN), nato il 23 agosto 1897 e caduto sul Monte Rasta il 10 giugno 1917.
[4] Presumibile riferimento al Comune di Monterotondo, nei dintorni di Roma.

BIBLIOGRAFIA
- A. Del Vescovo, I Caduti di Poggio Moiano e Cerdomare nella Grande Guerra 1915-1918.
- P. Volpato, Asolone, monte di fuoco,  Nordpress 2008.
- Riassunti storici dei Corpi e Comandi, Vari Volumi, Roma, Libreria dello Stato.