domenica 26 febbraio 2017

"Nessuna debolezza!" - Pier Felice Vittone, giovane giurista e valoroso alpino



Per i curiosi casi della vita, chi scrive è recentemente venuto in possesso di un piccolo lotto di diplomi, intestati ad un sottotenente degli Alpini: Pier Felice Vittone. Di lui vi racconteremo in questo post, anche grazie ai preziosi materiali digitalizzati dall’Università di Torino (un lavoro davvero egregio e meritorio, ciò che in questa sede vogliamo sottolineare).
Talmente precise e toccanti sono le parole utilizzate, da chi lo conobbe – ed in special modo dal padre -, nei documenti che presenteremo, che in questa sede si cercherà per quanto possibile di utilizzare direttamente, opportunamente interpolandoli. I diplomi, invece, saranno presentati al termine dell'articolo.

Pier Felice Vittone in uniforme da sottotenente del 2° Reggimento Alpini (elaborazione da foto digitalizzata).

Pier Felice Vittone nacque a Chivasso, in provincia di Torino, il 13 giugno del 1895, dal prof. Carlo Vittone, docente, e poi preside, di ginnasio, e da Emilia Vecchia. Così lo avrebbe descritto il padre:
Dotato d’intelligenza pronta e vivace, e portato naturalmente allo studio, fin da fanciullo si segnalò nelle scuole medie, sì da riuscire sempre primo fra i primi, e cattivarsi la stima e la simpatia dei professori.
In altro documento, a proposito degli anni del ginnasio, il padre così lo ricordava:
giovane intelligentissimo, che in cinque lezioni aveva appresa tutta la morfologia latina e, dopo altre 17 traduceva a prima vista il Cornelio e il Fedro, primi libri di latino avuti per le mani”.
Il suo straordinario talento nello studio è testimoniato, del resto, dalla prosecuzione del suo percorso accademico:
A soli 16 anni, si iscriveva alla Facoltà di Giurisprudenza, e si dedicava allo studio del Diritto, senza pur tralasciare di coltivare la cultura classica e letteraria”.
Ottenuto il diploma, presso il Liceo Ginnasio pareggiato di Savigliano, Vittone decise dunque di iscriversi alla Regia Università di Torino.
Della sua esperienza universitaria, è giunta sino a noi anche la domanda di iscrizione, datata al 4 novembre 1911, e inviata già dallo stesso capoluogo subalpino, ove si era frattanto trasferito:
Il sottoscritto […] avendo conseguita regolarmente la licenza liceale, prega la S.V. Ill.ma a volerlo inscrivere al primo anno della facoltà di Giurisprudenza in cotesta Università”.
Ammesso all’ateneo torinese, Vittone vi frequentò il semestre invernale dell’anno accademico 1911-1912 e con l’estate del ’12 iniziò a macinare gli esami del 1° anno: per primi – curiosamente, rispetto alle tradizioni degli studenti di giurisprudenza! – affrontò gli esami di economia politica (voto 29) e statistica (27); di seguito, sostenne brillantemente le prove di “introduzione allo studio delle scienze giuridiche e istituzioni di diritto civile” (voto 30, e che forse si potrebbe assimilare all’odierno insegnamento di istituzioni di diritto privato), istituzioni di diritto romano (30) e storia del diritto romano (30). Con l’autunno ripresero i corsi, e con l’estate del 1913 la nuova tornata di esami: diritto ecclesiastico (27), procedura civile ed ordinamento giudiziario (30), scienza delle finanze e diritto finanziario (30) e in ultimo filosofia del diritto (28).
Pier Felice Vittone, all’età di diciassette anni, era dunque perfettamente in corso, e con la media del 29: un risultato praticamente inarrivabile per un odierno studente di giurisprudenza (anche per evidenti vincoli burocratici…), ma certo alquanto eccezionale anche per un collega a lui contemporaneo. Ma la volontà di bruciare le tappe – come anche il profondo senso del dovere - non contraddistingueva il giovane Vittone solo nello studio:
A 18 anni, il 1° gennaio 1914, per poter soddisfare agli obblighi militari, contemporaneamente alle occupazioni dello studio, si arruolò come volontario allievo-ufficiale, nel 3° Reggimento Alpini, e fu promosso sottotenente il 1° novembre dello stesso anno.”
Egli - invece di chiedere il differimento della ferma per motivi di studio, come avrebbe potuto - si avvalse, dunque, di un utile istituto offerto dall’ordinamento militare dell’epoca, ovvero quello dell’arruolamento volontario. In un sistema imperniato sulla coscrizione universale obbligatoria, tale istituto, com’è ovvio, era destinato ad avere un’applicazione residuale e assai ridotta, rivolgendosi a soggetti che versassero in determinate condizioni, ed avessero particolari esigenze personali. Il Testo Unico sul Reclutamento [1], conosceva due particolari tipologie di arruolamento volontario: quello c.d. ordinario, in primis; e poi, il c.d. volontariato di un anno.
Per quello che può trarsi dalla documentazione a disposizione, appare che il nostro Vittone ricorse, per l’appunto, alla prima specie, e cioè al volontariato ordinario. Questo [2] era consentito ai cittadini dello Stato (e ciò è importante sottolineare!) che: avessero compiuto il diciottesimo anno d’età; non fossero ammogliati né vedovi con prole; avessero attitudine fisica a percorrere la ferma in servizio effettivo nel corpo in cui chiedevano di essere arruolati; fossero incensurati e di buona condotta; sapessero leggere e scrivere; godessero del consenso del padre o, in mancanza, della madre o del tutore.
A fronte di questi requisiti stringenti – e del mantenimento degli obblighi di leva per la durata ordinaria, a differenza che nel volontariato di un anno -, tale istituto consentiva, in particolare, di poter liberamente scegliere corpo di assegnazione all’atto dell’arruolamento: ciò che poteva consentire di soddisfare le proprie personali inclinazioni o tradizioni famigliari – un classico, per quel che concerneva l’arruolamento in cavalleria – come anche di organizzare efficientemente il proprio servizio militare, optando per reparti di stanza in luoghi vicini a casa o alle proprie sedi di studio o di lavoro, per poter, in tal modo, contemperare lo svolgimento del servizio con le esigenze della propria vita civile.
Sotto questo profilo, la scelta del 3° Reggimento Alpini appariva ideale: il reparto aveva sede a Torino, il che gli avrebbe consentito – negli intendimenti di Vittone – di poter utilmente proseguire il proprio percorso universitario. Si noti peraltro che la legge prevedeva altresì che “il volontario arruolato in un corpo non [potesse] essere trasferito in un corpo di arma diversa a meno che non vi [acconsentisse]”, salvo il caso delle assegnazioni ai corpi di disciplina (art. 114 T.U.Re.).

Dunque, parallelamente al servizio di leva, il giovane Vittone perseverò nello studio, sostenendo, nel corso dell’estate, altri due esami: diritto commerciale (voto 28) e, ai primi di giugno, Storia del diritto italiano, che gli valse “solo” un 24. Chi scrive ha avuto la ventura di preparare più di un esame durante il servizio militare, e può assicurare il lettore della estrema difficoltà dell’operazione. Probabilmente, il risultato non all’altezza dei voti precedenti indusse Vittone a prendersi una pausa, rimandando gli esami residui del terzo anno di corso (che, del resto, erano i due mattoni istituzionali diritto civile e diritto romano). Del resto, anche gli sconvolgimenti internazionali dell’estate del 1914 – l’assassinio di Sarajevo, l’ultimatum alla Serbia e lo scoppio del conflitto mondiale – dovettero costituire una valida ragione per indurre Pier Felice Vittone a concentrarsi sulle proprie occupazioni schiettamente militari. Ad ogni modo, si iscrisse comunque al 4° anno di corso.

Nei mesi seguenti, il giovane allievo ufficiale terminò la propria formazione, ottenendo la promozione al grado di sottotenente nel novembre del 1914. Indi fu trasferito al 2° Reggimento Alpini per il servizio di prima nomina, vivendo le settimane concitate di progressiva mobilitazione in vista degli impegni bellici del Paese: Vittone fu, dunque, assegnato alla 217a compagnia del Battaglione “Val Maira”. Questo era un battaglione alpino di Milizia Territoriale mobilitato appunto dal 2° Reggimento, e costituito dalle compagnie 217a, 218a e 219a. Nel corso della primavera, il “Val Maira” fu trasferito verso il confine italo-austriaco, ed accantonato nella zona di Tolmezzo. Qui, insieme con altre unità, esso costituiva la riserva del Comando Zona Carnia.

Così, in proposito, prosegue la narrazione del padre:
La guerra contro l’Austria lo trovò sul confine, dove da più mesi stava lavorando alla costruzione di difese e di strade; ed egli vi prese parte con tutta la fede del suo cuore generoso, con il più puro entusiasmo della sua fiorente, splendida giovinezza.
Le fatiche e i disagi della trincea, il pericolo cui continuamente era esposto, non lo preoccupavano per sé, consapevole dell’angosciosa attesa in cui viveva la famiglia da lui adorata, e francamente deciso di compiere tutto il suo dovere, nelle brevissime notizie inviate negli intervalli della lotta, sua cura principali era di nascondere, per quanto gli era possibile, le sue reali condizioni.”
Proprio negli ultimi giorni di permanenza a Tolmezzo, prima dell’entrata in linea, il giovane sottotenente indirizzò la seguente lettera ai suoi famigliari: il padre Carlo, la sorella Maria Margherita, e il fratello Carlo, studente d’ingegneria. La madre Emilia, invece – si noti, per quel che seguirà -, era già deceduta.
Tolmezzo, 26-5-15
Carissimi,
[mi trovo]…sul confine i combattimenti sono cominciati quasi su tutto il fronte. Giungono già qui i feriti. Stassera ho visitato un mio collega di plotone, il sottotenente Ciachino (?), ferito in un attacco notturno. Una pallottola lo ha colpito al cranio sinistro e una scheggia di pietra lo ha trafitto sotto l’occhio sinistro. Come era bello e grande, disteso sul letto, col viso un po’ arrossato dalla febbre e col cranio fasciato e la camicia macchiata di sangue! Io l’ho baciato come si bacerebbe un fratello o un’amante. Lo invidio davvero lui, che alla testa del suo plotone muoveva all’assalto sempre sorridente e tranquillo. Potessi anch’io avere una sorte così!....
Non occorrono, pare, commenti a questa missiva, tanto essa è espressiva dei sentimenti del suo estensore. Nel giro di pochi giorni, anche la 217a compagnia fu dunque inviata in linea. Di seguito trascriviamo – con pochi adattamenti – il diario storico del Battaglione “Val Maira” per il periodo in discorso.

Nel corso della prima metà di giugno, il "Val Maira" si portò al completo nel settore dell'Alto But, sostituendo il battaglione "Val Tagliamento" nell'occupazione delle posizioni sulla linea selletta Freikofel-Monte Pal Grande
Il battaglione restò su tali posizioni sino al mese di settembre, alternando il presidio delle linee - insidiato da frequenti puntate del nemico - a periodi di riposo trascorsi a Treppo Carnico. 
A inizio settembre il battaglione fu riunito a Sutrio, donde inviò le proprie compagnie in varie posizioni del settore per provvedere a lavori e a compiti di presidio. In particolare, alla metà del mese, la 217a compagnia fu distaccata a Paularo, ad occupazione dell'abitato, e poi del Monte omonimo.
Il 19 settembre, a fronte del rischio di un attacco nemico sul Freikofel, il comandante del Battaglione, insieme alla 218a compagnia, si portò presso Casera Pal Piccolo, schierandosi a difesa del Pal Piccolo per poi trasferirsi sul Pal Grande. Su tali posizioni, nonché in altre del Monte Croce carnico e della Val Collina, il "Val Maira" trascorse gli ultimi mesi del 1915.
La 217compagnia, in particolare, fu schierata a presidio della Forca di Lanza, essendo altrsesì impiegata per lavori a Casera Pizzul, e trascorrendo brevi periodi di riposo a Treppo Carnico.

Nel novembre del 1915, frattanto, il sottotenente Vittone ottenne il passaggio in servizio attivo permanente (S.A.P.).  Il 30 dicembre, invece, vi fu un avvicendamento al comando del Battaglione "Val Maira": al capitano Giuseppe Cremascoli succedette il capitano cav. Camillo Pasquali, pluridecorato ufficiale nativo di Siracusa (al quale abbiamo dedicato un articolo, vedi qui).

La prima parte del nuovo anno 1916 non vide il Battaglione impegnato in particolari operazioni, dovendosi esso tuttavia confrontare con il grande pericolo di valanghe, che determinò adattamenti delle linee di occupazione, così come dolorose perdite tra le nostre file.
Nella notte del 26 marzo, il nemico, agendo di sorpresa e senza preparazione d'artiglieria, riuscì a conquistare una quota centrale del Monte Pal Piccolo: i contrattacchi italiani del giorno seguente videro impegnata, in particolare, la 218a nonché la 219a compagnia, che subì forti perdite.

Tornando a Pier Felice Vittone, con riferimento al carteggio da lui mantenuto con la sua famiglia in seguito all’arrivo in linea, questo il ricordo del padre:
Partito subito dopo per il fronte scriveva molto brevemente.
Tuttavia, proprio nella primavera del 1916, il giovane ufficiale intrecciò, per così dire, un breve epistolario con quella che potremmo definire una madrina di guerra. L’aspetto curioso di questo scambio, oltre al contegno assai freddo del Vittone, è anche il fatto che la sua corrispondente avesse scelto di mantenere un completo anonimato.
Ecco dunque il testo di quella che, parrebbe potersi desumere, fu una delle prime risposte rese dal giovane ufficiale:
29-3-16
Pre.ma Signorina,
la ringrazio di avermi risposto. Non credevo che Ella sentisse così altamente l’amore della nostra patria e che si interessasse tanto per coloro che per essa combattono. Le ripeto che mi è dolce il sapere che Ella pensa all’ufficiale lontano e sconosciuto, e tanto più per la sua delicatezza nel serbare l’incognito….Conservi, Signorina, questa sua bella fede nell’Italia e nei suoi soldati: conservi l’entusiasmo per questa santa guerra e la certezza della vittoria!...
Pur a fronte di questa replica, assai distaccata, l’anonima madrina non demorse, suscitando la reazione, piuttosto decisa, del Vittone:

9 Aprile 1916
Preg.ma Sig.na,
rispondo con ritardo alla sua lettera perché fui occupatissimo per servizio. Il rimprovero che Ella mi fa mi contrista molto: forse la penna ha tradito il mio pensiero o Ella lo ha frainteso. Io non ho voluto, no, strapparle le sue speranze, attenuare la sua fede. Ho voluto anzitutto essere gentiluomo e sincero.
Non vado incontro alla morte coll’incoscienza del fanatico, anzi, come uomo io la sfuggirei in qualunque modo, se altri sentimenti ben più nobili e più alti, che non il cieco fanatismo, non mi togliessero di mente ogni pensiero terreno. Ho cercato, per questo, di cancellare dal mio cuore ogni sentimento che potesse spingermi alla titubanza, e di attenuare, se non distruggere, gli affetti che ordinariamente sono i più santi e venerati dalla moltitudine, per potere improntare tutti i miei atti e tutti i miei pensieri ad una sola divisa: nessuna debolezza!
È solo per questo che io non pavento la mia sorte, anzi le sorgo diritto in faccia per affrontarla, qualunque essa sia. È solo per questo che io non mi lamento delle fatiche e non ne attendo ricompensa di sorta.
Nessuna debolezza! E son anni ed anni che combatto con la mia sorte, combatto con me stesso con alternative di vittorie e di sconfitte, per quella divisa.
È per questo che io non voglio attendere con ansia le sue lettere, che non voglio preoccuparmi del pensiero di Lei, che freno le parole di affetto umano, che sgorgherebbero dalla mia penna. L’ora dell’amore batte a grandi rintocchi nelle mie vene; l’ho ascoltata una volta e poi mi sono spaventato del suo suono e non l’ho voluto sentire mai più.
Non faccia, Signorina, che in questi momenti terribili in cui devo consacrare mente e cuore a più santa e sublime idea, non faccia che essa risuoni nuovamente dentro di me.
E non creda che il pensiero d’un’altra fanciulla turbi la ferrea saldezza delle mie decisioni. La pagina del mio amore è ora bianca. Possa io portarla tale fino al giorno della vittoria, o scenda candida con me nella fossa non inonorata. Da più giorni ho salutato le care vette della Carnia ed ho varcato il sacrato Isonzo. Domani forse sul Monte Nero poterò la mia vita a nuovo e più terribile cimento.
Signorina, mi lasci oggi, se la sorte lo permette, scrivere la pagina della vittoria. Domani, colla pace, potrò con più tranquilla coscienza scrivere la pagina dell’amore. Ossequi"
Vittone, molto esplicitamente, fece dunque capire alla sua corrispondente la sua intenzione di troncare lo scambio epistolare. Questa missiva, che è l'ultima pervenutaci - in forma di trascrizione - tra quelle inviate dal giovane alpino, ci appare particolarmente significativa, per multiple ragioni. Più di tutto, colpisce la volontà di Vittone di troncare, o perlomeno di allentare, ogni legame affettivo - anche solo in forma epistolare -, che lo potesse, per così dire, distrarre dalla propria totale devozione alla causa bellica. In questo potrebbe scorgersi, oltre che la volontà di non cadere in "debolezze", anche una sorta di autopreparazione al distacco dalla vita, presago di un futuro luttuoso. In questo potrebbe, dunque, trovarsi la spiegazione anche della scarsità di contatti con la famiglia, lamentata dal padre.
Nello specifico della lettera appena esaminata, si considerino inoltre i sanguinosi fatti d'arme dei quali gli alpini del Battaglione "Val Maira" erano stati protagonisti proprio in quei giorni.

Quattro giorni dopo questa lettera, il 13 aprile, il Battaglione "Val Maira" sostituì riparti del "Monviso" e del "Dronero" sulle posizioni di colletta Kozliac, Monte Nero e Monte Rosso rimanendovi fino ai primi di maggio, quando, il 10, si portò nuovamente a Kosec per provvedere a lavori stradali.
Dopo un altro turno di trincea e una settimana trascorsa sul Monte Pleca (15 - 22 maggio), il "Val Maira" rientrò a Cividale; il 24 fu trasferito a Bassano a disposizione della 1a Armata, ed il 27 si spostò nuovamente a Ronchi.
In quei giorni, era in pieno svolgimento l'offensiva di primavera sferrata dall'esercito imperial-regio sul fronte degli Altopiani, e mentre la linea del XIV Corpo d'Armata si andava deflettendo per la forte pressione avversaria, con i battaglioni "Monviso" e "Val Maira" fu costituito un nucleo avente il compito di garantire il controllo degli sbocchi della val Frenzela.
Il 28, incaricato di proteggere il ripiegamento della Brigate "Catanzaro" (141° e 142°) e "Lombardia" (73° e 74°), che si trovavano più a nord verso il Monte Confinale, il "Val Maira" prendeva posizione prima a Monte Nos ed a Monte Baldo poi a Monte Cimon ed a Monte Longara.
Su tali linee, piccoli attacchi di riparti esploranti furono facilmente respinti. Il 30 maggio, giunti nella zona i Battaglioni "Argentera" e "Morbegno" (quest'ultimo, del 5° Reggimento Alpini), con essi, insieme col "Val Maira" e col "Monviso", fu costituito il "Gruppo Alpini Foza".

Così prosegue il riassunto storico del Battaglione:
I primi battaglioni d'assalto nemici cozza[ro]no con impeto contro il nuovo ostacolo. Gli eventi precipita[va]no: a Monte Cimon la 218a compagnia, dopo tenace resistenza [fu] costretta a cedere ed a ripiegare mentre l'avversario imbaldanzito e padrone di punti dominanti, raddoppiava gli sforzi. Il battaglione, unitamente alle compagnie alpine 100a e 124a, che fin dal giorno precedente erano state inviate come rinforzo, retrocede[tte] portandosi prima sulla cresta della Meletta di Gallio e poi a Monte Castelgomberto, ove, il 5 giugno, dopo aver sostenuto un bombardamento di violenza eccezionale, respin[s]e un attacco portato contro la sinistra della posizione.

Tra gli altri reparti, accanto al "Gruppo Alpini Foza" combatteva, inquadrata nella 25^ Divisione, la Brigata "Sassari", che si apprestava a scrivere pagine memorabili della propria storia operativa.

Teatro d'operazioni del "Gruppo Alpini di Foza"; evidenziate in colore, le principali cime, e l'abitato di Foza.

Al 5 giugno, dunque, le forze del Gruppo risultavano così disposte: il Batt. "Monviso" tra Tondarecar e Castelgomberto; il Batt. "Val Maira" a Castelgomberto; il Batt. "Morbegno" sullo sperone a nord di Monte Fior; il Batt. "Argentera" tra Monte Fior e Monte Spil [3]. In particolare, le cime di Monte Castelgomberto, Monte Fior, Monte Miela, Monte Tondarecar e Monte Badenecche costituivano quello definito, nelle fonti militari italiane, quale complesso montano del Castelgomberto. In questo senso, la fronte del "Gruppo Alpini Foza", come visto, si estendeva - su un'ampiezza di circa 4 chilometri - per l'appunto su tala arco montano. Detta fronte era "soggetta ai tiri di tutte le artiglierie austriache schierate da Asiago alle posizioni a nord di Monte Fiara" [4]. Diversamente, le artiglierie italiane, nel medesimo settore, ammontavano in tutto a trentasei pezzi, di cui 24 di piccolo calibro e 12 di medio calibro
Alle 11.30, le artiglierie austriache aprirono il fuoco sulle posizioni difese dai Battaglioni "Morbegno" e "Monte Argentera", proseguendolo sino alle 18.00, ora in cui reparti dell'11^ Brigata austro-ungarica mossero all'assalto. Gli alpini, sostenuti da rincalzi della "Sassari", resistettero fino all'esaurirsi dell'attacco, a tarda sera: la ritirata dei reparti attaccanti avvenne intorno alla mezzanotte.
Il giorno successivo, 6 giugno, le operazioni subirono una sosta, e frattanto la direzione delle operazioni nel settore Melette - Marcesina fu assunta dal comandante del XX Corpo d'Armata, tenente generale Luca Montuori. Nell'ordine di operazioni diramato, il compito del XX Corpo fu fissato, prima di passare all'offensiva, in quello di "opporsi energicamente ad ogni ulteriore avanzata del nemico verso la valle del Brenta ed affermarsi sulle posizioni del Monte Lisser e Monte Meletta di Foza" [5].
Il mattino del giorno dopo, 7 giugno, alle ore 10.30, le artiglierie imperial-regie ripresero a battere le posizioni italiane del settore, e in particolare quelle del Monte Fior e del suo sperone nord, difeso, come si è visto, dagli alpini del Battaglione "Morbegno" (5° Reggimento). In rinforzo a questi giunse una compagnia del "Monviso", due del I btg. del 151° Reggimento fanteria della "Sassari" nonché la 219a compagnia del "Val Maira".
Il Battaglione perdette, dunque, la propria unità, dacché le altre due sue compagnie - la 217a, in cui era inquadrato Pier Felice Vittone, e la 218a - rimanevano schierate sul Monte Castelgomberto.
Fu in queste circostanze che, presumibilmente nella mattinata del 7, il sottotenente Vittone uscì per un'ardita ricognizione, al fine di ricavarne uno schizzo utile a meglio organizzare la resistenza del proprio reparto. Rientratone, ricevette, nel pomeriggio, un biglietto di encomio da parte del colonnello comandante il Gruppo Alpino, che così recitava:
Un sentito elogio al Tenente Vittone, per lo schizzo fatto e per il valoroso contegno, e una calda raccomandazione di resistere a qualunque costo”[6].
Analogo encomio dovette ricevere, nelle stesse ore, dal comandante del Battaglione "Val Maira", il già citato cav. Camillo Pasquali, intanto promosso maggiore, brillante ufficiale veterano della Guerra Italo-Turca, e già decorato di una Medaglia d'Argento ed una di bronzo al Valor Militare.
Si era, dunque, nel pomeriggio inoltrato del 7 giugno. Il combattimento infuriava, e gli assalti degli austro-ungarici si infrangevano contro l'accanita resistenza dei nostri alpini.
In quei momenti, nella mente del giovane ufficiale piemontese, dovevano risuonare - più forte delle pallottole e delle esplosioni delle granate - alcune parole. Quelle rivoltegli dal suo comandante: "resistere ad ogni costo"; e quelle che aveva scritto lui stesso poco tempo prima, "nessuna debolezza".
Così, cinque giorni prima del suo ventunesimo compleanno, questo ragazzo distinto, di ottima cultura e belle speranze, continuò a combattere con i suoi alpini, sulle balze del Castelgomberto, finché - intorno alle sette di sera - una pallottola non lo colse al capo.
Il cappellano del Battaglione, don Tommaso Casetta [7], avrebbe così descritto il fatto in una lettera al padre:
"Ferito alla testa da una pallottola la sera del 7 giugno, mentre in trincea incitava il suo amato plotone e portato di volo dai suoi soldati al posto di medicazione, vicino a cui io mi trovavo. Era privo della parola ma mi conobbe. Gli diedi l’assoluzione e l’olio santo e mi diede segni di grande divozione. Erano le 7 di sera; non potendosi trasportare in quello stato sotto una pioggia torrenziale, e medicato bene dal medico della Compagnia, lo adagiammo in una barella [...]. Agonizzò e spirò verso le 23. Lo feci trasportare nel paese vicino di Foza ove segnai la tomba, che fu ornata da fiori e rami verdi. Una croce col nome lo ricorda.”[8]
Nonostante il sacrificio di Pier Felice Vittone, sul Castelgomberto le sorti della battaglia volsero a favore del nemico: il giorno successivo, 8 giugno, gli austro-ungarici ripresero l'offensiva; il comandante del Gruppo Alpini Foza, non potendo contare su riserve sufficienti per tentare un contrattacco, ordinò ai propri reparti di abbandonare la linea più esposta (Monte Fior - Monte Castelgomberto), ripiegando su posizioni retrostanti. Pertanto, il Battaglione "Val Maira", insieme al "Monviso" - ormai entrambi ridotti ad un manipolo di animosi superstiti -, abbandonò le contrastate posizioni del Castelgombergo, per ripiegare sul Monte Tondarecar, trincerandovisi.
Il riassunto storico ricorda che "Nel battaglione, già decimato, il giorno 8 di tutti gli ufficiali esiste[va] un solo capitano": tra le perdite, dovette contarsi anche lo stesso comandante, il già citato magg. Pasquali [9]. Ferito a morte anch'egli la sera del 7, sarebbe spirato la settimana successiva in ospedale.

Così si concludeva quel ciclo di operazioni che (nel periodo dal 1° all'8 giugno) era costato al "Gruppo Alpini di Foza" undici morti e trentuno feriti tra gli ufficiali; centocinquantadue morti, seicentonovantotto feriti e duecentottanta dispersi fra la truppa [10]. Il solo Battaglione "Val Maira" doveva contare, invece, due morti (Vittone e il maggiore Pasquali), undici feriti e tre dispersi tra gli ufficiali, e cinquantuno morti, duecentoquarantaquattro feriti e centouno dispersi fra il personale di truppa [11].

Il Capitano comandante la 217a compagnia così avrebbe scritto al padre del sottotenente Vittone:

Il.mo Signor Professore,

col più vivo dolore compio il dovere di partecipare a V.S. che il giorno 7 corrente verso le ore 20 cadeva colpito dal piombo nemico sul Monte Castelgomberto il mio valoroso ufficiale subalterno S.Tenente Vittone sig. Pier Felice, suo carissimo figlio. Egli cadde da valoroso, mentre coll’esempio incitava i suoi soldati alla resistenza contro le truppe nemiche che tentavano di impadronirsi di quella posizione. Io che lo ebbi per diverso tempo quale subalterno alla compagnia posta ai miei ordini, ebbi modo di apprezzare le sue belle qualità di valoroso ed intelligente ufficiale.

Diligente esecutore di ordini, fiero di compiere speciali mansioni, spesso si sapeva meritare parole di lode dai superiori; severo, ma buoni coi suoi inferiori, sapeva acquistarne la stima e la fiducia. Forse in questi giorni sarebbe stata prossima la sua promozione a tenente, promozione che egli aveva saputo dimostrare di meritarsi e che avrebbe accolta con piacere. La severa educazione ricevuta faceva sì che spesso egli rievocasse i savi consigli paterni e parlasse con un vero senso di devozione del suo caro padre. La sua agonia si protrasse per poche ore, ma la gravità della ferita riportata più non gli permise di riprendere coscienza né la scienza medica riuscì a salvarlo dalla morte che avvenne nella notte fra il 7 e l’8 giugno.

A Lei, Egregio Professore, così duramente colpito da questa sciagura, giungano le più vive espressioni di cordoglio da parte degli ufficiali del Battaglione ed in particolare modo le mie, persuasi tutti quanti che se esse saranno di scarsa efficacia nel lenire il grande dolore toccatole, serviranno però a dimostrarle l’unanime compianto provato da tutti per la dolora perdita subita.

Voglio sperare che le superiori autorità militari sapranno riconoscere degnamente la bella prova di valore, d’intelligente operosità esplicata dal suo carissimo figlio Pier Felice, nel combattimento del 7 giugno a Monte Castelgomberto. Il S.Tenente Vittone ebbe onorata sepoltura nel camposanto di Foza, località prossima a Valstagna.

Il comandante la 217a Compagnia del Battaglione Val Maira, f.to P.C.

Come anticipato nelle ultime righe di questa lettera, allo stesso capitano - in considerazione del decesso del comandante del reparto - si dovette, assai probabilmente, la proposta per la Medaglia d'Argento al Valor Militare, che venne poi effettivamente conferita alla memoria di Pier Felice Vittone con questa motivazione:
"Comandante di un plotone in una posizione avanzata intensamente battuta dal fuoco di artiglieria, fucileria e mitragliatrici nemiche, dava prova di calma e coraggio. Noncurante del pericolo, incorando i pochi alpini superstiti, riusciva, col suo valoroso contegno, a contrastare l'avanzata del nemico soverchiante, finché cadde egli stesso colpito a morte. - Monte Castelgomberto, 7 giugno 1916".
Il padre e i fratelli, qualche giorno dopo, avrebbero fatto pubblicare il seguente necrologio su "La Stampa":

Si noti, sopra quello per Vittone, il necrologio di Giovanni Facta, figlio dell'onorevole Luigi Facta, ministro delle Finanze sino al 1914 (Governo Giolitti III), nel dopoguerra guardasigilli nel Gabinetto Orlando, e poi anche presidente del consiglio dal 26 febbraio al 31 ottobre '22.

Ancora, il 25 marzo 1917, la Regia Università di Torino avrebbe conferito alla sua memoria la laurea ad honorem in giurisprudenza.

Così si concludeva la breve parabola terrena di questo giovane torinese che dalla vita avrebbe potuto attendersi grandi soddisfazioni personali e professionali, come già ne aveva ottenute.

Per concludere questo post, con una sorta di petitio principii, ecco alfine i diplomi ai quali si accennava in apertura:

  • diploma di concessione della Croce al Merito di Guerra alla memoria (R.D. n. 205 del 19 gennaio 1918; si noti che il diploma difetta del numero di concessione):
  • diploma di concessione della medaglia commemorativa della guerra 1915-1918 per il compimento dell'Unità d'Italia (R.D. n. 1241 del 29 luglio 1920).

  • diploma d'onore alla memoria per i militari che caddero combattendo o perirono in seguito a ferite (R.D. n. 206 19 gennaio 1918):

  • in ultimo, diploma di concessione della medaglia di gratitudine nazionale per le madri dei caduti (R.D. n. 800 del 24 maggio 1919; si noti, in proposito, che la signora Emilia Vecchia, madre del s.ten. Vittone, era già deceduta da diversi anni):

Speriamo che questo nostro piccolo e deferente omaggio, oltre cent'anni dopo il sacrificio del s.ten. Vittone, possa averne ravvivato la memoria, ricordandone le qualità e il valore agli Italiani di oggi.

A cura di Niccolò F.




NOTE
[1] Legge n. 5655 del 1888.
[2] Ex art. 111 della legge in commento.
[3] La guerra.... Vol. III, Tomo 2, p. 187 e ss..
[4] Ivi, p. 189.
[5] Ivi, p. 190.
[6] Il biglietto, scritto alle ore 16.00 del 7 giugno, fu poi trovato nel portafogli del giovane ufficiale.
[7] Si trattava del Rev. Don Tommaso Casetta (San Rocco di Montà, 1884 – Alba, 1962), decorato di MBVM con la seguente motivazione: “Durante un furioso bombardamento nemico ed il susseguente violento attacco, noncurante del pericolo, attraversava ripetutamente una zona battuta e riusciva a porre in salvo numerosi feriti, rincorando con patriottiche parole i combattenti superstiti ed incitandoli alla resistenza. – Monte Castelgomberto, 7 giugno 1916”. Dopo la guerra, ricoprì prima l’ufficio di parroco a Priocca, poi quello di canonico del Duomo di Alba, elevato al rango di monsignore.
[8] Lettera del rev. don Tommaso Casetta a Carlo Vittone, del 2 luglio 1916.
[9] Magg. Camillo Pasquali (Siracusa, 22 settembre 1874 – Bassano, 15 giugno 1916), comandante il Battaglione “Val Maira”, decorato di due MAVM (1916, Pal Piccolo; 1912, Derna) e una MBVM (Udine, 1908). Rimasto ferito a morte nell’azione del 7 giugno sul Monte Castelgomberto, spirerà la settimana seguente presso l’Ospedale Militare di Bassano.
[10] Dati tratti dallo specchio riportato in La guerra... op. cit., p. 191.
[11] Dati tratti dal riassunto storico del Btg. "Val Maira": in proposito, deve notarsi come la frase anzi riportata - in merito alla perdita di tutti gli ufficiali fuorché di un capitano - debba essere intesa nel senso che, ad eccezione di Vittone - che risulta l'unico caduto sul campo -  gli altri fossero rimasti tutti feriti (il magg. Pasquali sarebbe poi deceduto in ospedale). Inoltre, si noti che il riassunto del battaglione menziona anche tre ufficiali dispersi, mentre il conteggio complessivo degli ufficiali caduti del "Gruppo Alpini Foza" non fa cenno ad alcun disperso.



BIBLIOGRAFIA
- materiali digitalizzati dall’Università di Torino nell’ambito dell’iniziativa L’Università di Torino e la Grande Guerra, leggibili all’indirizzo: http://www.grandeguerra.unito.it/items/show/187

- AA. VV., L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918), Vol. III, Roma, Libreria dello Stato.
- Riassunti Storici dei Corpi e Comandi nella guerra 1915 - 1918 , Roma - Libreria dello Stato.